Resta senza risposte interessanti lo sgangherato dibattito sull’immigrazione che ha tenuto banco nei giorni scorsi prima della estrazione della nuova iniziativa di “distrazione di massa” sul presidenzialismo. In compenso la politica e i media hanno smesso di inseguire le frasi infelici sulla “sostituzione etnica” temuta dal ministro/cognato Lollobrigida, occupandosi delle considerazioni del presidente del Consiglio che deve adottare i provvedimenti necessari a gestire il dossier immigrazione. Per Giorgia M. in Italia sono troppo poche le donne che lavorano e poche quelle che fanno figli, per cui bisogna cercare rimedi e sostegno per una maggiore presenza femminile al lavoro, ma anche un aumento del tasso fecondità nel nostro paese, che oggi è tra i più bassi d’Europa”. Che Giorgia se ne occupi non è fuori luogo, anzi, ma sostenere che il lavoro delle donne e la conseguente ripresa della natalità rappresentano la vera soluzione del declino demografico, e non l’immigrazione, non ha nessun fondamento reale. L’invocato miracolo delle cicogne non è una credibile alternativa ad una crisi demografica che carattere strutturale. A tale proposito segnalo al Presidente, e alla destra italiana, una dotta ricerca pubblicata dalla Fondazione Di Vittorio, per informarci sulla circostanza che, nei prossimi vent’anni, è prevista una drastica riduzione della popolazione residente di oltre -3 milioni rispetto ad oggi. Nel merito si segnala una diminuzione dei più giovani (-903 mila) e delle persone in età da lavoro (-6,9 milioni) e di un aumento degli anziani (+4,8 milioni)”. Diventa facile sostenere che le vagheggiate quote pensionistiche, le fughe anticipate dal lavoro appartengono ad una visione antiscientifica rispetto al rapporto che si sta instaurando tra lavoratori, sempre meno e pensionati, sempre più. La citata ricerca conferma che se nel 1950, in Italia, la popolazione tra gli 0 e i 19 anni era il 35,4%, oggi rappresentano un “calante” 17,5%. Quindi senza indulgere in analisi statistiche noiose, possiamo affermare che al crollo del numero dei giovani corrisponde una diminuzione delle persone meno prolifiche. La Meloni, quindi, non copre il vuoto che la destra italiana, arrivata al governo, di strumenti culturali necessari per affrontare una fase che vede nell’immigrazione la strada più facile, seppure complicata, per governare gli effetti del decremento demografico. La scienza demografica, nella esattezza delle sue statistiche, non è materia sufficiente per sostituire il “putidrume” delle campagne della paura e della propaganda profusa per conquistare “mance elettorali” al grido: blocchi navali. Naturalmente è anche vero che se gli sbarchi dei clandestini non sono un’invasione, non è sufficiente pensare che siano la soluzione del problema. Va ripensata una politica dell’accoglienza e dell’integrazione, di fronte ad un mondo sottoposto a migrazioni che stanno portando le popolazioni giovani, prolifiche e povere del Sud a spostarsi al Nord dove prevalgono gli anziani benestanti e in numero inadeguato per il complesso delle esigenze del loro stesso vivere civile, economico e sociale. Nella nostra regione, ad esempio, l’asticella tra persone al lavoro e numero di pensionati è ormai bassa, per cui bisogna porsi legittimamente la domanda su chi verserà i contributi per le nostre pensioni e se facciamo bene, a perseguire politiche previdenziali che abbassano l’età pensionabile? Insomma superata la fase della propaganda, non ci resta che sperare nell’avvio di una più serena discussione su come l’equazione Natalità, Fecondità, Lavoro e sicurezza retributiva, Equilibrio Previdenziale (tra retribuzione e pensioni) trova una soluzione programmatica.
La natalità e l’immigrazione non sono problemi che si affrontano con la propaganda.

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