Economia, produzione e lavoroEditoriale

Tempi duri per tutti

La tendenza al rinvio della soluzione dei problemi è tipicamente “conservatrice”. Purtroppo non siamo nelle condizioni di praticare queto dolce “dondolio”. Infatti, nella nostra regione ci sono due condizioni diverse, ma se vengono coniugate, provocano una domanda di nuova sostenibilità. L’invecchiamento della popolazione commisurata al nuovo fenomeno della denatalità provocano un fenomeno di “doppia” attenzione, ma sullo stesso percorso. Vale a dire che dare “Più vita agli  anni” (come recitava un vecchio e desueto slogan dello SPI Cgil oggi  (sarà segno dei tempi) del tutto dimenticato), deve misurarsi con gli strumenti da mettere in campo per “frenare”  la, presente e futura, desertificazione  dei nostri territori (soprattutto giovanile) del nostro paese. Il tema centrale diviene sul come prepararsi a governare una società sicuramente  più matura ma non ancora chiaramente sostenibile e consapevole.  Se il PNRR  sta occupandosi, ma non ancora sappiamo con quale fortuna, della transizione digitale, ecologica e demografica, cioè dei terreni dei grandi mutamenti, che già danno visibilità  a società “fragili”, c’è ancora da chiedersi se il “mutamento” ci condurrà verso una società desiderate più consapevole. Una sola certezza possiamo darci, da subito, sarà  certamente una società sempre più matura, senza i dovuti accorgimenti. Il tema è dato dalla esistente fase di transizione, o passaggio, da un modo di vivere ad un altro, da una situazione ad un’altra, per giungere ad una nuova condizione. Quindi è d’obbligo ripensare la organizzazione della nostra società, dei sistemi economici e di produzione e dei nostri stessi stili di vita. Una società   resa a misura d’uomo.  Se le grandi misure in atto sono gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda ONU e il Green Deal europeo, mentre balza prepotentemente, all’ordine del giorno, l’attenzione sul significato da dare alla firma da parte di alcuni Paesi europei (tra cui l’Italia) di una “inquietante” nota di intenti in merito al futuro dell’energia nucleare, per quanto riguarda la dimensione ambientale. Anche questi temi dovranno comporre la qualità delle misure di accompagnamento: dalla transizione digitale (PNRR insieme ad ERMA (European Raw Material Alliance).Ma intanto cosa sta avvenendo  sul fronte demografico? Niente di rilevante da segnalare. Non sono segnalabili stanziamenti di fondi di miliardi o specifiche normative. Eppure le società e le popolazioni, che le costituiscono, sono soggette a continue trasformazioni demografiche che stanno mutando la loro stessa composizione e coinvolgono in maniera significativa una dimensione globale, di una grande parte del mondo entrato in una fase di rallentamento demografico. L’Italia è ormai una grande area collocata in una fase di contrazione e invecchiamento.Eppure  non avvertiamo il dovere di aprire una riflessione sul tema della transizione demografica per una società più umana.  Nel secolo precedente, l’umanità ha vissuto una fase di accelerazione demografica senza eguali  per giungere a questa attuale dove, a tassi  più modesti, la popolazione continuerà a crescere, con tutte le conseguenze e le sfide che questo comporta: 1) aumentare la produzione di cibo; 2) fornire volumi adeguati d’acqua potabile; 3) organizzare una intelligente fase di Economia Circolare per “azzerare” i rifiuti sempre più consistenti.  Il sistema “Italia” è collocato in un tasso demografico di crescita a livello basso, che però riguarda anche l’Abruzzo. Una regione dove tutto avviene, mentre le Istituzioni restano distratte restie a cercare e trovare impegni atti a superare lo scivolamento in atto lungo il piano inclinato della transizione demografica e del contestuale invecchiamento della popolazione. Troppe “chiacchiere” inutili circolano sui temi delle culle vuote, del buco demografico delle persone in età da lavoro e del relativo rischio di “declino” economico.  Gli specialisti  “demografi” esplicitano, che anche di fronte ad un incremento significativo del numero di figli per donna, il numero di nuovi nati resterebbe intorno alle 400.000-450.000 unità. Pochi perché il numero di donne in età fertile è in costante diminuzione. L’Istat rincara la dose certificando un andamento demografico atteso, per i prossimi decenni, che vede in maniera inequivocabile un calo della popolazione destinato ad essere sempre più importante.In concreto se gli Italiani, che nel 2021 erano 59,2 milioni di abitanti sono destinati nel 2030 a passare a 57,9 milioni. Una discesa con una media  pari a un terzo di punto percentuale, vale a dire il -3,3‰.  Sia anche chiaro che l’ISTAT, nei suoi numeri, comprende l’apporto dei flussi migratori sia in entrata che in uscita. Un punto delicato visto che se non si lavora su una ipotesi di saldo migratorio decisamente positivo, “facilitando e selezionando” un numero prevedibile di arrivi di persone dall’estero, invertendo il pessimismo delle ultime stime Istat che  ipotizzano un saldo migratorio annuo in diminuzione. Dall’attuale +150mila unità a circa +120mila unità nel 2070, l’Istat ipotizza  un numero limitato di ingressi, per cui , nel combinato disposto delle tendenze demografiche,  il numero di abitanti del nostro Paese è inesorabilmente destinato a contrarsi. Il punto, inoltre è che i dati  dimostrano che il numero di italiani residenti calerà, con un contestuale aumento dell’incidenza percentuale del numero di anziani.  Già nella presentazione del rapporto annuale Istat,  si segnala che i Demografi parlano ormai di meno donne che mettono al mondo figli:  è il “dato grezzo” della questione.  Giunge a destinazione il frutto dell’affermarsi di un cambiamento di mentalità delle nuove generazioni, unita al venire meno di molte certezze su lavoro, abitazione, prospettive e soprattutto sulla possibilità di migliorare la propria situazione rispetto alla generazione precedente.  Se si aggiunge che le politiche pubbliche tendono più a premiare  comportamenti individualistici che scoraggiano la formazione di una famiglia. È vero in Italia, ma lo si incomincia a registrare un po’ ovunque nelle politiche di bilancio.  In sede regionale, ad esempio, non ha fatto grande scalpore la notizia, che il Bilancio Demografico dell’Abruzzo in sette anni , cioè dal 2013 al 2020, abbia perso il correspettivo di 48.906 abitanti. Scompare una intera città capoluogo come Chieti, ma tutto si perde nei fumi della camomilla del dibattito politico abruzzese. Secondo il Dott. Aldo Ronci  è in atto una decrescita pari al 3,68% , un’intensità doppia rispetto a quella italiana, nello stesso periodo, che è stata dell’1,84%. Di fronte a notizie così forti  i “decisori” della politica , cioè tutti quelli che ci governano o si sono candidati a governarci, insieme ai sindacati ed Associazioni Imprenditoriali, non hanno prodotto “riflessioni” o i risultati della loro analisi visto che due classi di età, quelle tra i   32‐48 anni perdono 49.141 unità, cioè  – 14,80% (Italia ‐14,18%),  mentre tra i   15‐31 anni emigrano 26.567  giovani,  due volte e mezzo di più della media italiana.  L’Abruzzo subisce una forte perdita di giovani, offrendo il fianco ad uno svantaggio culturale per responsabilità di un insediamento di una popolazione meno attiva e meno produttiva. D’altra parte le letture più ottimiste, sulle inesistenti “performances”  della economia abruzzese non guardano nemmeno a questa, più che evidente,  emersione di un quadro demografico deprimente che preannunciano  un andamento economico decrescente. Per l’Abruzzo non si apre una partita semplice perché l’inverno demografico è già qui e le tensioni che comporta questa trasformazione sono in atto. Sono necessarie politiche pubbliche che rendano la “questione demografica”  un grande tema ben visibile, perché la sfida può essere culturale, ma la soluzione deve essere individuata nella  capacità di interpretare la solidarietà tra le generazioni , ma anche con politiche pubbliche di sostegno economico e di servizi per le nuove generazioni. Le Istituzioni devono aumentare le risorse a favore dello sviluppo degli standard di welfare, inteso come sanità, servizi alla nascita e alle giovani coppie. È difficile pensare che questa dinamica in atto possa invertirsi in qualche maniera. Ci troviamo di fronte a un percorso che, salvo eventi inaspettati ed extra-ordinari, è segnato. Ma se non si vuole raccogliere il testimone della rassegnazione è ora di raccogliere la bandierina della sfida aperta dalla transizione demografica. Lo SPI diceva “Più vita agli anni”,  che non deve essere tradotto in più anni di vita, ma in un cesto di nuova offerta:  azioni tese a fare permanere le persone, il più possibile,  all’interno del mercato del lavoro  e più in generale della società svolgendo mansioni adeguate all’età, per non perdere ulteriore conoscenza e abilità sul lavoro. La stessa transizione digitale ed ambientale può fornire un importante volano e supporto, innestandosi  all’interno del mutamento demografico e salvaguardando tanto le componenti più giovani quanto quelle più anziane della società in divenire.  Dalla digitalizzazione di settori come la medicina,  o della Pubblica Amministrazione, passando per l’inserimento di “energie” nuove nei sistemi produttivi,  fino alla trasmissione certa della “conoscenza” delle attività della piccola, piccolissima impresa artigianale, prima che le stesse attività vengono lasciate “morire”, per mancanza di eredi. Ma nessuno può più eludere, salvo fidarsi delle idee perdenti di una destra che non si accorge nemmeno di vivere in un paese che richiede “innovazione” e lotta alla desertificazione, che tutto possa accadere senza una illuminata ed intelligente politica di accoglienza di coloro che “bussano” ai nostri confini per trovare una risposta alla loro sopravvivenza.  Dal bilancio demografico degli stranieri in Abruzzo si osserva un incremento della popolazione, di provenienza straniera, dal 1 gennaio 2015 al primo gennaio 2018,  da 86.245 unità a 87.054, per poi registrare una diminuzione al 31 dicembre 2019 con 83.504 residenti stranieri. In concreto un decremento  demografico anche degli stranieri, che raggiunge , secondo i dati provvisori ISTAT al 31/12/2020 .  un numero pari a 82.338 residenti. 

La conseguenza è che se non si invertono le tendenze, nemmeno nella crescita dei residenti stranieri riusciremo a trovare una risposta utile alle nostre esigenze di salvaguardare il sistema economico, produttivo, sociale ed economico. L’Abruzzo su tutti i fronti continua a segnalare un buco demografico, frutto del combinato disposto denatalità e decrescita residenze di stranieri. La soluzione deve essere cercata in tempi immediati per garantire un territorio accessibile, sostenibile e a misura d’uomo, con un insediamento di una società più matura e consapevole. Un tema ormai ineludibile che richiede la realizzazione di un  progetto per affrontare sia i processi migratori in atto nel nostro paese, sia in entrata che in uscita, fondato sulla organizzazione di un processo di integrazione, come valore non solo Costituzionale e di solidarietà, ma come occasione per fare decollare la soluzione alla questione demografica.