Biblioteca dei SocialistiEditoriale

Una risposta socialdemocratica alla destra italiana ed Europea.

L’articolo si apre con l’immagine di Giacomo Brodolini, che fu il Ministro padre dello “Statuto dei Lavoratori”. Alla redazione dello Statuto diversi furono i ricercatori, i politici (Tesserati socialisti e non) e studiosi che ci lavoravano. Per Brodolini il punto da raggiungere era stabilire per legge che la gerarchia del lavoro subordinato al capitale, era una forzatura voluta dai conservatori e dai “prenditori” arretrati. Brodolini la spuntò con la sua idea forza: stabilire un equilibrio tra azione politica, conflitto sociale ed azione del Capitale in una società democratica. Su questo equilibrio per anni il Paese ha prosperato ed è cresciuto migliorando la condizione di vita dl suo popolo. Ma il tempo, Renzi docet, ha lavorato contro questo “equilibrio” dando spazio ai finti sostenitori della affermazione dei diritti delle nuove figure di lavoratori che emergevano, per “rosicchiare” grande parte di questa cultura del lavoro. Con il Jobs Act si è maturata la più grave scomposizione della unità del mondo del lavoro e, successivamente della sua rappresentanza politica. Lo testimonia la quota permanente, assunta nei sondaggi, da Fratelli di Italia, assomiglia ad una galleggiante in uno stagno quieto. Per nulla turbato, o forse meglio dire, preoccupato dai danni, in questo periodo con leggi e Finanziarie, procurati agli ultimi, e tanto meno preoccupato dall’ombra di potere raccogliere  pessimi consensi raccolti fra i ceti popolari e disagiati, inclusa la classe media precipitata in un declino senza fine, tutti figli di una politica senza “occhiali”. La Destra Italiana punta sulla lunga scia di “disaffezione” procurata dalla scelta modernista che ha infatuata, da tempo, la sinistra europea, in testa quella italiana, con la sua scelta “vocativa” maggioritaria, che non è stata una metodologia senza “ideologia”, ma assorbimento del neoliberismo moderno. Per cui le classi dirigenti dell’ideologia che hanno governata l’Europa, e l’Italia, si sono “impigliate” con le schegge del centro dello schieramento politico per tramutarle in maggioranza. Tutto fatto con un sistema maggioritario, trascurando che la loro antica rappresentanza, diventava sempre più una minoranza sociale. L’idea centrale dei maggioritari si è sempre più assoggettata all’incapacità di trovare un canale di raccolta vittorioso per chi resisteva e protestava. Nessuno può, con gli strumenti di analisi a disposizione che lo stesso M5S che ha interpretato, sia la protesta proveniente da destra sia quella causata dall’arretramento sociale, smentirne il successo per avere letta la crisi del sistema europeo, e quindi di un Pd resosi il protagonista negativo. I risultati del regime economico e della condizione socioeconomica per i ceti medi e popolari del nostro paese sono andati avanti, di pari passo con gli insuccessi realizzatosi nel nostro Paese attraverso il fallimento dell’intero impianto bipolare e maggioritario. Il “renzismo” non è stato solo un  filosofico atteggiamento sul negare la coerenza tra il dire ed il fare, ma anche il concepire i percorsi per le grandi sconfitte e le sue conseguenze. Una situazione che determina un dilemma a due corni che propone la necessità di un percorso socialdemocratico, mentre è in corso. I socialisti italiani, nel secolo precedente, cercarono la coniugazione della loro idea del benessere dei ceti “del lavoro” con la spinta a riformare il capitalismo, utilizzando l’idea di sintetizzare la protesta con le riforma ed i cambiamenti possibili introdotte, attraverso il gradualismo, con il  buon governo delle Istituzioni. In fondo il modello prendeva corpo dal successo della socialdemocrazia del Nord, nate nel cuore della lotta politica, contro la crisi degli anni trenta. Quindi in sostituzione di un capitalismo, che mostrava anche conseguenze peggiori, con la faccia dura del nazismo e del fascismo. Altra storia nel dopo guerra con l’affermarsi di un’idea di democrazia radicalmente diverse dal capitalismo precedente che però non riesce a riformarsi. Ed ecco che già venti anni fa il neoliberismo, presente nei trattati e nei parametri europei, quel mantra contenuto nella frase “lo vuole l’Europa”, trascina nella subordinazione le possibilità di realizzazione di una più ricca e completa società aperta e democratica. Quello che sta avvenendo in Europa sul Welfare ne è un esempio di scuola. Oggi le tecnocrazie operanti nelle istituzioni europee, consentono che in Italia, si sviluppi un sistema economico che ha mirato a sottomettere il mondo del lavoro e del salario alla preminenza della esportazione e alla mortificazione della domanda interna (Vedi recenti analisi OCSE). In Germania le riforme sulle prestazioni per la disoccupazione, puntano alla realizzazione in un ordine sociale diverso dal “liberi tutti”, per cui osserviamo che l’idea di Welfare socialdemocratica  punta a costruire la parità fra capitale e lavoro (soprattutto nel mercato del lavoro) e poi opera un compromesso con il capitalismo su questa base.  Il compromesso è competere con più innovazione e meno sfruttamento, progressivamente eliminando quest’ultimo. Ecco la differenza (che si tende a ignorare) fra la flexicurity nordica fino agli anni 1990 e ciò che vige ora. L’idea è quella di cambiare prospettiva, passando dalla sicurezza del posto di lavoro (lo stesso per tutto il ciclo lavorativo) alla sicurezza del lavoratore, con il mantenimento di possibilità occupazionali nel corso dell’intera vita attiva. Il tema è cogente ed è da porre alla base di un nuovo umanesimo socialista : la parità tra capitale e lavoro. Poca ideologia, niente dottrina, ma patto tra profitto e migliore stabilità sociale. In questa direzione devono andare i  capitoli della sicurezza e stabilità sociale, con la gestione dei contratti e dei salari. Diviene obbligatorio rovesciare l’idea di stabilizzarsi ed assuefarsi al clima attuale del Patto di Stabilità e vecchio liberista dell’Europa, che non riesce a partire dall’equilibrio del benessere dei suoi cittadini e lavoratori e, su questo paradigma, basare la loro idea di economia strutturalmente più competitiva. La precarizzazione che riguarda ormai tutti i ceti dell’ordine europeo, figlia di un neoliberismo perdente, perché danneggia l’equilibrio sociale deve essere abbandonato. Conclusioni. Con l’insistenza ordoliberista non si conduce la UE verso la capacità di sfruttamento dei propri potenziali di domanda interna, con il rischio di  minare proprio quella globalizzazione che ne costituiva uno dei miti di partenza. La stessa idea contenuta nel Jobs Act ha dimostrata la irrilevanza, di un disegno, che invitava i “prenditori” a venire in Italia perché i laureati costavano di meno.  L’avere pensato di realizzare competitività ed esportazione, subordinando salario e Welfare ha già prodotto gli attuali effetti distruttivi. Salari più bassi aumento della diseguaglianza, ed emigrazione dei giovani laureati o più formati. Temi ai quali deve rispondere programmaticamente ed elettoralmente, il socialismo europeo, in contrasto ad una ideologia vetero-liberale europea che insiste sulla gerarchizzazione dei propri cittadini ai fattori di crescita. I socialisti, come ci diceva Brodolini, hanno il dovere di indicare i percorsi utili a ristabilire la parità del grado di gerarchizzazione fra questi fattori fondamentali, per ricostruire la parità fra capitale e lavoro (soprattutto nel mercato del lavoro) ed operare un compromesso con il capitalismo su questa base.