Biblioteca dei Socialisti

Dopo l’intervento di Craxi al Parlamento, nessun dibattito. Occasione perduta.

Abbiamo già descritti gli episodi storici che portarono allo scioglimento del PSI, eppure oggi molti sentono la mancanza dell’apporto, nel quadro politico italiano, di un partito socialista (naturalmente ancorato sui valori europei) organizzato in grado di intervenire sui “nodi” che aggrovigliano lo scenario politico italiano. Ma non è il tema che affrontiamo oggi perché ne manca ancora uno essenziale che vogliamo descrivere in questo Pamphlet . Sulla Treccani, questo termine sintetizza la parola  Libello o breve scritto di carattere polemico o satirico. Ma solo chi proseguirà nella lettura lo scoprirà. Il Pamphlet deve essere dotato di un titolo, che però si  racchiude nella domanda: Ma è la fine del PSI o anche la fine di una politica legata alla cultura della partecipazione popolare?   Vediamo se siamo in grado di dare una risposta analizzando alcune vicende. Possiamo partire da alcuni riferimenti diretti o indiretti su questo tema contenuti, nella sempiterna e mai definita Costituzione italiana. Infatti in essa i partiti politici vengono espressamente previsti e richiamati in due disposizioni: nell’art. 49, che costituisce la norma di carattere generale, la quale definisce finalità e metodo dei partiti (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”); e nell’art. 98, che pone una riserva di legge per l’eventuale limitazione al diritto di iscrizione ai partiti (”Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari e agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero”). A noi interessa molto di più approfondire l’art. 49, non trascurando che a tutto deve essere collegata la XII disposizione transitoria e finale, in forza della quale “è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Se ci sfidiamo in una ricerca minuziosa sul tema Partiti ed organizzazione della partecipazione della “gente” alle scelte politiche non riusciremo mai a stabilire il vincitore. La cosa nota è che la fine del PSI segna uno dei pilastri del confine del passaggio alla cosiddetta II^ Repubblica e, quindi della formazione di partiti in varie forme. Tutto avviene attraverso combinazioni e fusioni a freddo, di formazioni politiche diverse, come il Partito Democratico,  o fondazioni di movimenti che sfociano in partiti personali o del padrone-azienda, vedi Forza Italia, o, ancora con la ideazione di movimenti, come 5Stelle, così alternativi da essere oggi ancora alle prese con problematiche vitali sulla partecipazioni degli iscritti. Naturalmente crescono partiti, ormai il più antico come la Lega, che è però frutto di una sorta di “tarocco”, non ancora chiarito, tra Lega Nord e Lega Nazionale , senza che si capisca chi decide o se può decidere (infatti le chiavi della Lega Nord sono per Statuto nelle mani di Bossi) infine  Fratelli d’Italia, nipote del MSI e figlia di Alleanza Nazionale di Fini, braccio del SUD del fronte della Casa della Libertà, invenzione berlusconiana, oggi grazie alla Meloni forte nei sondaggi, ma anch’esso, come tutti, non si capisce se la sua classe dirigente sia adeguata al compito di governo che pretende di assumere. In fondo tutti, ma proprio tutti, rinunciando ad essere il tramite tra cittadini ed Istituzioni, anche per la forte spinta alle investiture delle leadership, che poi in virtù del sistema elettorale vigente diventa garanzia di permanenza dei gruppi dirigenti nei ruoli “apicali”. L’eccesso di sintesi, nello scritto precedente, è del tutto ricercato visto che dobbiamo giungere a conclusioni. Prima considerazione. Il PSI aveva uno statuto, faceva congressi, era organizzato dalle sezioni di paese e di quartiere, fino alla Direzione regionale, passando per federazioni provinciali, Comitati regionali, Dipartimenti Nazionali per temi, Assemblea Nazionale che eleggeva un presidente, una Direzione Nazionale, il segretario nazionale coadiuvato da una segreteria Nazionale. La DC, il PCI, Il MSI, il PLI, PSDI, PRI e MSI avevano la stessa strutturazione (chiedo se dimentico qualcuno). Oggi i partiti TUTTI hanno questa impostazione? Oppure gli attuali gruppi dirigenti si sono appropriate dei poteri costituzionali, per esercitare un controllo sulla società senza ricevere un controllo analogo, data da una partecipazione democratica, regolata da Statuti che dettano norme da rispettare, per garantire decisioni democratiche o scelte delle leadership e dei gruppi dirigenti? Bella domanda, che ne procura un’altra. Ed è il tema che si apre nei fatti, con la mancata discussione sulle cose affermate da Bettino Craxi, nel  suo discorso al Parlamento, il 3 Luglio 1992  che erano parole piene di  veemente autodifesa di Craxi, ma anche di chiamata in causa di tutti i suoi colleghi parlamentari e delle leadership di partiti che erano in piena coscienza e conoscenza di non essere “puri e vergini” rispetto alle considerazioni fatte nel luogo sacro della democrazia. Ma quel mancato dibattito, sviluppo un seguito, infatti, senza che ci fosse stata una discussione sul tema del finanziamento alla politica ed ai partiti, perché tutti lasciarono che tutto proseguisse, compreso il ruolo “aggressivo” della Magistratura, ormai divenuto il vero “jolli” degli anni a venire, cioè il sostituto del ruolo di selezione dei gruppi dirigenti politici e delle loro rappresentanze. Quindi, quel mancato dibattito, che ebbe come conclusione certa,  la fornitura dell’arma di “ludibrio” nei confronti di Craxi,  non ha provocata solo la sua uscita di scena o  lo scioglimento del PSI, ma ha determinato anche una rottura tra la politica ed i suoi elettori. Non è molto esagerato affermare, essendo passati tanti anni da questi fatti , cioè  quasi un trentennio,  che  da allora si è aperta una crisi del sistema politico,  che si è via via sempre più deteriorato fino ai giorni nostri. Oggi possiamo dire che si è giunti ad una “destabilizzazione” del senso, del ruolo e del prestigio del luogo di rappresentanza del sistema democratico italiano, ovvero del parlamento italiano. Un processo di degrado che, inconsapevolmente anche da parte di coloro che stavano pensando di  lucrare sulle “sfortune” socialiste, alimentavano la grande “ipocrisia” contenuta nella mancata risposta ai problemi sollevati da una persona, Bettino Craxi, in materia di corruzione del sistema politico italiano e delle responsabilità che tutti dovevano assumersi. Risuonano ancora i toni di disprezzo che misero insieme falsi garantisti e proto-giustizialisti: “Immorale sfuggire alle proprie responsabilità” “Un corrotto, che si auto assolve dicendo che lo erano tutti”. Il massimo della ventata protettiva, sull’intero sistema politico, anche perché era più utile avere subito un colpevole, viene perseguita dal fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari che con i suoi strali al concetto di: “tutti colpevoli nessun colpevole” si inventava un rischio inesistente. Infatti Craxi affermava l’esatto contrario, assumersi la responsabilità . Ora se questa parte di ragionamento non può più essere argomento di propaganda politica, ma materia per storici considerato l’avvicinamento al richiamato trentennio, cominciamo ad evitare le prime e più sterili battute a partire dalla prima facile domanda. Perché era stato evitato il dibattito, e non solo nel parlamento ma in qualsiasi altro luogo, soprattutto da chi si riteneva l’erede del tesoro politico ed elettorale dei socialisti, il Segretario nazionale del PDS D’Alema?. Proprio in quel periodo, già brigava, come racconta lui stesso, nella già citata intervista, per fare fuori Craxi ed assumersi la paternità nel realizzare il progetto della Unità Socialista. Ma dove stavano gli intellettuali della sinistra o  gli altri soggetti e personaggi del giornalismo, disinteressati al tema “corruzione” , anche perché una volta fatto fuori Craxi ed il PSI il tema non esisteva.  Questi grandi interpreti, come avviene da sempre nello scenario politico italiano, non guardavano e non analizzavano mai il malessere ormai diffuso nel paese, nella vita delle istituzioni e delle pubbliche amministrazioni, una rete di corruttele grandi e piccole che segnalavano uno stato di crescente degrado della vita pubblica. Uno stato di cose che doveva suscitare, è vero, la più viva indignazione, legittimando un vero e proprio allarme sociale, ponendo l’urgenza di una rete di contrasto in grado di operare con rapidità ed efficacia. In sintesi, i concetti espressi da Craxi che aprivano una crisi della democrazia costituzionale, venne occultata per realizzare uno stato di eccezione istituzionale che doveva favorire un blocco di interessi, una oligarchia, una nuova classe dominante in grado di armonizzare e rapportarsi anche con gli interessi dei “proprietari” della comunicazione. Gli stessi che, in questi anni sino ad  oggi, hanno assistito (sarebbe meglio dire anche operato per), ad una vera e propria delegittimazione democratica del Parlamento. Lo svuotamento, e quindi la morte dei partiti, la prevalenza di interessi non mediati e di singole personalità, l’inceppamento dei meccanismi parlamentari ed infine una lunga stagione di “autoritarismo” del Presidente della Repubblica, sempre più simile ad una sorta di sistema monarchico sono la conseguenza della lenta “gora” di un sistema democratico che non ha saputo rinnovarsi sin da quei tempi.  A conclusione di questa lunga descrizione, intrisa di domande, non possiamo che giungere ad un giudizio, che solo oggi siamo in grado di dare, perché i tempi hanno avuto un loro “slittamento” storico. L’intervento di Craxi al Parlamento è un capitolo fondamentale per la comprensione dei fenomeni che hanno riguardata la vita politica italiana, perché in larga parte segnalava i limiti e la debolezza della politica, sui fenomeni corruttivi, ma si poneva anche la domanda di come “insieme” superare la crisi che si era aperta nel sistema istituzionale. La pavidità, la voglia di lucrare e la mancanza di visione politica, anche degli attori della Prima Repubblica, auto replicatosi nella seconda, sono solo il contorno che porta a questa situazione di grave scollamento tra “popolo” ed istituzione. Se nelle supplettive romane un deputato viene eletto con meno del 20% dei votanti, se non riusciamo ad avere un Presidente della Repubblica, senza raddoppiare il mandato e se nel Parlamento non si formano più governi espressi da maggioranze esiste un problema? Ed è legittimo affermare che la crisi non si è conclusa con lo scioglimento del PSI, ma si è solo “imbarbarita”. Seconda considerazione. L’eloquio di Craxi trovo ascoltatori restii a dare avvio a quella “grande confessione”, da lui auspicata, del  mondo politico, mentre i giudici lo assunsero come  “confessione extragiudiziale”.     Ma veniamo al testo del discorso di Craxi, ricavato dai verbali del Parlamento: “Si è  aperto una grande capitolo,  il libro dagli inesauribili capitoli apertosi poi un po’ dovunque, mi ero permesso semplicemente di dire:” Su quanto sta accadendo la classe politica ha di che riflettere “. Questa affermazione fu allora maltrattata come espressione di un atteggiamento intimidatorio, provocatorio, financo ricattatorio. In realtà non era difficile avvertire già da allora tutta la dimensione del problema che si era aperto, in tutta la sua gravità e complessità. Non era difficile cogliere la inutilità e l’errore di una difesa e di una giustificazione che non fossero improntate al linguaggio della verità. Per le responsabilità che mi competevano, per il ruolo che, per lungo tempo, avevo esercitato, di Segretario nazionale del Partito Socialista, io non ho negato la realtà, non ho minimizzato, non ho sottovalutato il significato morale, politico, istituzionale della questione che veniva clamorosamente alla luce riguardante il finanziamento irregolare ed illegale ai partiti ed alle attività politiche ed anche il vasto intreccio degenerativo che ad esso si collegava o poteva, anche a nostra insaputa, essersi collegato. Come si ricorderà ne parlai proprio di fronte a voi seguendo una traccia che stamane mi consentirete di riprendere. Osservavo nel luglio del ’92: “C’è un problema di moralizzazione della vita pubblica che deve essere affrontato con serietà e con rigore, senza infingimenti, ipocrisie, ingiustizie, processi sommari e grida spagnolesche. È tornato alla ribalta, in modo devastante, il problema del finanziamento dei Partiti, meglio del finanziamento del sistema politico nel suo complesso, delle sue degenerazioni, degli abusi che si compiono in suo nome, delle illegalità che si verificano da tempo, forse da tempo immemorabile. Bisogna innanzitutto dire la verità delle cose e non nascondersi dietro nobili e altisonanti parole di circostanza che molto spesso e in certi casi hanno tutto il sapore della menzogna. Si è diffusa nel paese, nella vita delle istituzioni e della pubblica amministrazione, una rete di corruttele grandi e piccole che segnalano uno stato di crescente degrado della vita pubblica, uno stato di cose che suscita la più viva indignazione, legittimando un vero e proprio allarme sociale, ponendo l’urgenza di una rete di contrasto che riesca ad operare con rapidità e con efficacia. I casi sono della più diversa natura, spesso confinano con il racket malavitoso, e talvolta si presentano con caratteri particolarmente odiosi di immoralità e di asocialità. Purtroppo anche nella vita dei Partiti molto spesso è difficile individuare, prevenire, tagliare aree infette sia per la impossibilità oggettiva di un controllo adeguato, sia talvolta, per l’esistenza ed il prevalere di logiche perverse. E così all’ombra di un finanziamento irregolare ai Partiti e, ripeto, al sistema politico, fioriscono e si intrecciano casi di corruzione e di concussione, che, come tali, vanno definiti trattati provati e giudicati. E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare od illegale. I Partiti specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche e operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro “. E del resto, andando alla ricerca dei fatti, si è dimostrato e si dimostrerà che tante sorprese non sono in realtà mai state tali. Per esempio, nella materia tanto scottante dei finanziamenti dall’estero sarebbe solo il caso di ripetere l’arcinoto “tutti sapevano e nessuno parlava “. Ed osservavo ancora: “Un finanziamento irregolare ed illegale al sistema politico, per quante reazioni e giudizi negativi possa comportare e per quante degenerazioni possa aver generato non è e non può essere considerato ed utilizzato da nessuno come un esplosivo per far saltare un sistema, per delegittimare una classe politica, per creare un clima nel quale di certo non possono nascere ne’ le correzioni che si impongono ne’ un’opera di risanamento efficace ma solo la disgregazione e l’avventura. A questa situazione va ora posto un rimedio, anzi più di un rimedio “. Mi spiace che tutto questo sia stato, allora, sottovalutato. Tante verità negate o sottaciute sono venute una dopo l’altra a galla e tante ne verranno, ne possono e ne dovranno venire ancora. E mentre molti si considerano tuttora al riparo dietro una regola di reticenza e di menzogna, non si è posto mano a nessun rimedio ragionevole e costruttivo. Questo deve valere anche per i Partiti che se debbono continuare ad esistere come elementi attivi della democrazia italiana ed europea sia pure in un diverso ruolo ed in diverse configurazioni, debbono essere posti di fronte a nuove regole impegnative ed utili a rinnovare e a far rifiorire la loro essenza associativa e democratica.
Si è invece fatto strada con la forza di una valanga un processo di criminalizzazione dei partiti e della classe politica. Un processo spesso generalizzato ed indiscriminato che ha investito in particolare la classe politica ed i partiti di governo anche se, per la parte che ha cominciato ad emergere, non ha risparmiato altri come era e come sarà prima o poi inevitabile. Era del tutto evidente che scavando e risalendo negli anni e persino nei decenni nella sfera delle forme di finanziamento illegale dell’attività politica, delle sue articolazioni, delle organizzazioni e competizioni elettorali, ogni giorno si sarebbe incontrato un episodio, un caso, uno scandalo. E così è stato. E così sarà. La lista delle indagini, delle investigazioni e poi delle contro investigazioni, dei pentiti, dei pentiti a scoppio ritardato e dei contro pentiti, delle rivelazioni vere o false, mirate o sapientemente mutilate, e dei rei-confessi per amore o per forza è destinata a farsi interminabile. A queste si sono aggiunti fatti di corruzione personale che sono del tutto estranei alla responsabilità dei Partiti anche se pesano egualmente in tutta la loro gravità. Ma di tutte le erbe s’è fatto alla fine un fascioTutto si è ridotto ad una unica accusa generalizzata. Le campagne propagandistiche hanno ruotato sovente solo attorno a slogan ed a brutali semplificazioni. Di questo si è incaricata infatti parte almeno della stampa e dell’informazione, andando ben al di là dei diritti e dei doveri propri dell’informazione, deformando spesso oltre misura, esaltando le ragioni dell’accusa e mettendo di canto quelle della difesa, travolgendo senza alcun rispetto diritti costituzionalmente garantiti con difese divenute praticamente impossibili, creando sovente un clima infame che ha distrutto persone, famiglie e generato tragedie. La criminalizzazione della classe politica, giunta ormai al suo apice, si spinge verso le accuse più estreme, formula accuse per i crimini più gravi, più infamanti e più socialmente pericolosi. Un processo che quasi non sembra riguardare più le singole persone, ma insieme ad esse tutto un tratto di storia, marchiato nel suo insieme. Un vero e proprio processo storico e politico ai Partiti che per lungo tempo hanno governato il Paese. Mi chiedo come e quando tutto questo si concili con la verità, che rapporto abbia con la verità storica, con gli avvenimenti e le fasi diverse e travagliate che abbiamo attraversato e nelle quali molti di noi hanno avuto responsabilità politiche di governo di primo piano. Davvero siamo stati protagonisti, testimoni o complici di un dominio criminale? Davvero la politica e le maggioranze politiche si sono imposte ai cittadini attraverso l’attuazione ed il sostegno di disegni criminosi? Davvero gli anni Ottanta di cui soprattutto si parla, senza risparmiare i precedenti, sono stati gli anni bui della regressione, della repressione, della malavita politica che scrivono e cantano in prima fila tanti reduci dell’eversione, delle rivoluzioni mancate, delle rotture traumatiche che sono state contrastate ed impedite? Questa non è altro che una lettura falsa, rovesciata mistificata della realtà e della storia. Chi ha condotto per anni una opposizione democratica ha da far valere in ben altro modo tutte le sue ragioni. Per parte mia, io non dimentico che negli anni Ottanta l’Italia ha rimontato la china della regressione, della stagnazione e dell’inflazione, è uscita dalla crisi economica e produttiva per entrare in un ciclo di espansione e di sviluppo senza precedenti toccando le punte di sviluppo più alte tra i paesi dell’Europa industrializzata. Si è trattato di un progresso forte, intenso, diffuso, che ha ridotto tante disuguaglianze e che poneva le basi per ridurne tante altre che ancora dividevano e dividono la nostra società. Sono gli anni in cui viene posto fine al capitolo dell’eversione militare, del terrorismo e delle sue code sanguinose. Sono anche gli anni di un nuovo prestigio internazionale, con l’Europa comunitaria che si amplia e si consolida e con l’Italia che entra a far parte del club economico ma anche politico delle maggiori Nazioni industrializzate del mondo occidentale. Tutti i cicli, come è naturale passano, entrano in contraddizione, si esauriscono, degenerano. Sono così subentrati gli anni delle difficoltà e della crisi, che stiamo ancora attraversando. Ma gli effetti e il conseguente di un periodo critico sarebbero stati ben diversi e ben più onerosi se non avessimo avuto alle spalle il solido sviluppo realizzato nel corso degli anni Ottanta ed un retroterra conquistato con un balzo in avanti poderoso. I finanziamenti illegali ai partiti ed alle attività politiche non sono stati tuttavia una invenzione e una creazione degli anni Ottanta. Hanno radici, come si sa, ben più antiche e ben ripartite tra le forze che si contrapponevano, in lotta tra loro, e sovente senza esclusione di colpi. Così come nella vita della società italiana non è nata negli anni Ottanta la corruzione nella pubblica amministrazione e nella vita pubblica. La vicenda dei finanziamenti alla politica, dei loro aspetti illegali, dei finanziamenti provenienti attraverso le vie più disparate dell’estero, della ricerca di risorse aggiuntive rispetto poi ad una legge sul finanziamento pubblico ipocrita e ipocritamente accettata e generalmente non rispettata, accompagna la storia della società politica italiana, dei suoi aspri conflitti, delle sue contraddizioni e delle sue ombre, dal dopoguerra sino ad oggi. Non c’è dubbio che un troppo prolungato esercizio del potere da parte delle più o meno medesime coalizioni di Partiti ha finito con il creare per loro un terreno più facilmente praticabile per abusi e distorsioni che si sono verificate. Ma onestà e verità vorrebbero che in luogo di un processo falsato, forzato, ed esasperato, condotto prevalentemente in una direzione, si desse il via ad una ricostruzione per quanto possibile obiettiva ed appropriata di tutto l’insieme di ciò che è accaduto. Si tratta di una realtà che non si può dividere in due come una mela, tra buoni e cattivi, gli uni appena sfiorati dal sospetto, gli altri responsabili di ogni sorta di errori e nefandezze. Trovo perlomeno singolare che sia stata liquidata con poche battute di circostanza, qualche pretesto e qualche falsa riverenza la proposta di una inchiesta parlamentare che abbracciasse l’arco di almeno un quindicennio della nostra storia politica. Il Parlamento avrebbe il dovere di farlo avendo esso stesso nella sua storia una montagna di dichiarazioni di bilanci di Partiti certamente falsi, di organi di controllo che non hanno controllato, di revisori che non hanno rivisto. Che tutto questo avvenisse senza l’insorgere di clamorose contestazioni e denunce e senza clamorosi conflitti, salvo casi sporadici ed aspetti particolari, significa che il sistema in funzione e le sue irregolarità non solo erano in principio riconosciute, ma erano consensualmente accettate e condivise, almeno dai più. E’ d’altro canto un sistema cui hanno partecipato e concorso, in forme varie e diverse, tutti i maggiori gruppi industriali del paese, privati e pubblici. Gruppi e società importanti nel loro settore e nella economia nazionale e in molti casi presenti e influenti anche sui mercati internazionali, gruppi potenti in grado di influire e di condizionare i poteri della politica e dello Stato. Di questi tutto si può dire salvo che siano state vittime di una prepotenza, di una imposizione, di un sistema vessatorio ed oppressivo di cui non vedevano l’ora di liberarsi. Si tratta di tutti i maggiori gruppi del paese, quelli che sono stati chiamati in causa e quelli che ancora possono esservi chiamati, anch’essi fornitori dello stato, tributari dello stato di sostegno di varia natura, tributari di appalti pubblici, esportatori, proprietari di catene giornalistiche, speculatori a vario titolo, se la verità, anche per loro, come c’è da augurarsi, finirà prima o poi per farsi strada. Si tratta di condotte illegali del mondo imprenditoriale attuate con piena consapevolezza e responsabilità e con finalità di molteplice natura, di ordine economico aziendale commerciale ed anche di ordine pubblico a sostegno di un sistema, dei suoi diversi equilibri, della sua stabilità complessiva, ed anche a sostegno più diretto di singoli membri di un personale politico con il quale mantenere rapporti amichevoli più impegnativi. Illegalità nel mondo politico, illegalità nel mondo imprenditoriale. Ad esse si sono venute aggiungendo illegalità nel mondo giudiziario. Una inchiesta giudiziaria è tanto più forte, accettata, rispettata, quanto più forte, rigoroso, lineare è il rispetto della legge ch’essa si impone, senza prevaricazioni, arbitri, forzature ed eccessi di sorta. Si è verificato purtroppo, e in più casi e ripetutamente tutto il contrario. Non c’è fine che possa giustificare il ricorso a mezzi illegali, a violazioni sistematiche, clamorose e persino esaltate della legge, dei diritti dei cittadini, dei diritti umani. Non c’è consenso popolare, sostegno politico, campagna di stampa che possa giustificare un qualsiasi distacco dai principi garantiti dalla Costituzione e fissati dalla legge. Non la giustifica neppure l’assenza, l’insensibilità o il ritardo degli organi di controllo, la debolezza o il disorientamento delle difese, la barriera del pregiudizio negativo. Non lo ha visto e non lo vede, del resto, solo chi non lo vuole e preferisce, per opportunità, per superficialità o per calcolo voltare la testa dall’altra parte. Chi non ha visto le forzature macroscopiche e strumentali nella interpretazione delle leggi per giungere ad usare impropriamente i poteri giudiziari? Sin da quattro secoli in Inghilterra era stato scritto nel Leviatano “Se il giudice usa con arroganza il potere di interpretare le leggi, tutto diventa arbitrio imprevedibile. Di fronte ad un metodo del genere ogni sicurezza viene meno“. Chi non ha visto gli arresti illegali, facili, collettivi, spettacolari e financo capricciosi, di fronte ad una civiltà del diritto e ad una normativa di legge che anche nel nostro paese considerava l’arresto una “ex trema-ratio“. Chi non ha visto le detenzioni illegali che fanno impallidire la civiltà dell’Habeas Corpus. Le detenzioni a scopo di confessione che sono tutto il contrario di ciò che è riconosciuto ed accettato. Chi non ha visto le perquisizioni a scoppio ritardato, quelle in particolare delle sedi di Partito manifestatamente inutili ma utili, per la messinscena predisposta e per lo spettacolo denigratorio assicurato. Sono all’ordine del giorno del resto le sistematiche violazioni del segreto istruttorio, ormai praticamente vanificato e inesistente o esistente solo in ragione di criteri discriminatori o criteri arbitrari dettati da interessi ed opportunità di varia natura ivi comprese quelle politiche. C’è forse qualcuno che non ha visto la esemplare tempistica politica di determinate operazioni? Quando la giustizia funziona ad orologeria politica essa contiene già in se qualcosa di aberrante. Purtroppo, c’è anche materia per scrivere un capitolo sui diritti umani, sulla loro mortificazione e sulle loro violazioni. Affacciandosi, già mesi orsono, sulla realtà italiana, una missione internazionale composta di alti magistrati ed esponenti del Foro di Parigi, prudentemente, rispettosamente annotava in un suo primo rapporto:” I magistrati, incaricati delle inchieste sulla corruzione, applicano le disposizioni di legge relative alla detenzione preventiva in modo particolarmente ‘estensivo’. Senza arrivare ad espressioni quali ‘tortura’ o ‘inquisizioni’ – pur usate da diverse personalità, non sembra si possa dubitare del fatto che la carcerazione preventiva sistematica di numerosi indiziati -molti dei quali presentano evidenti qualifiche di notorietà- e che è ufficialmente motivata dalla preoccupazione di un possibile ‘inquinamento’ delle prove, ha in realtà lo scopo di esercitare delle pressioni per ottenere confessioni di colpevolezza, o la denuncia di complici. Ciò che numerosi magistrati hanno ammesso pubblicamente sottolineando l’efficacia di tale metodo. Questa pratica, di carattere chiaramente repressivo appare in contraddizione sia con il disposto art. 275 del nuovo codice di procedura penale italiano che indica la detenzione preventiva come una misura coercitiva di natura eccezionale, sia con i testi internazionali esistenti in materia di tutela dei diritti dell’uomo “. Nello stesso rapporto si legge che “Gli eccessi constatati nell’applicazione del codice di procedura penale nell’ambito delle inchieste in materia di corruzione sono ancora più preoccupanti perché  a tutt’oggi sembrano sottratti a qualsiasi tipo di controllo. In effetti la maggior parte dei ricorsi al Tribunale delle Libertà sono stati rigettati. L’opinione pubblica italiana che è molto favorevole alla repressione delle tangenti esercita sulla magistratura una notevole pressione, alla quale quest’ultima non è insensibile, e che raggiunge il risultato di rendere alcuni magistrati incaricati delle inchieste dei personaggi protagonisti al riparo da qualsiasi ‘critica pubblica‘”. La stessa delegazione della “Federation Internationale des Droits de l’Homme” ancora osserva :”Il compito di ‘purificatore’ che taluni magistrati si attribuiscono e che essi pubblicamente proclamano, solleva problemi delicati nel rapporto tra potere giudiziario, potere esecutivo e potere legislativo; e non solo perché’ molti politici sono oggetto della maggioranza dei procedimenti in corso, insieme ad industriali e uomini d’affare; ma per la distorsione di tali rapporti, che può andare oltre il caso specifico e determinare una preoccupante inclinatura dell’ordinamento democratico“. Spiace doverlo dire ma le ripetute affermazioni di magistrati, talvolta solenni, talvolta sdegnate, che vogliono suonare come una proclamazione di indipendenza e di indifferenza rispetto alla politica, agli effetti politici, agli obiettivi politici, in molti troppi casi non convincono affatto e non possono convincere. Penso agli arresti alla vigilia della formazione di governi locali o dopo la loro formazione, alle retate di interi corpi amministrativi, alle operazioni di marca preelettorale, agli scoops in vista di precise scadenze politiche, alla disparità di trattamento, che meriterebbero un approfondimento a parte, alle oculate selezioni, all’accanimento con il quale ci si è mossi soprattutto in certe direzioni ma, allo stesso modo, non in altre. Un grande processo politico era preconizzato dagli ideologhi, magistrati e non, della rottura traumatica che sui loro giornali scrivevano :”Il sistema politico è la culla più ospitale ed al tempo stesso la più formidabile difesa del crimine organizzato della violenza mafiosa e camorristica delle lobbies illegali“. Leggiamo oggi una pubblicistica che si muove ad un passo financo dai testi della letteratura terroristica quando questa si scagliava contro il “regime politico-mafioso, DC-PSI“, e contro “l’amerikano Craxi che si adopera per accelerare il processo di edificazione del SIM (Stato Imperialista delle Multinazionali)“, contro il “gangster Craxi che si propone come baricentro dello scenario politico“. Contro un demone di questa natura allora tutto era possibile, tutto giustificato, tutto lecito. Può capitare nel corso della storia che la violenza nell’uso di un potere sia necessaria ed inevitabile ma è necessario allora che essa sia chiamata con il suo nome, sia riconosciuta ed esaltata come tale e non mistificata e proclamata in nome delle leggi o degli ordinamenti in vigore. In questo caso sapremo senza possibilità di equivoci di essere di fronte ad una nuova forza, ad una nuova legge e ad un nuovo potere. Una “rivoluzione“: così sono stati definiti e così molti concepiscono gli avvenimenti di casa nostra. Può darsi. Però allora è bene essere consapevoli che una rivoluzione è di per se sempre una grande incognita ed una grande avventura, ma soprattutto che una rivoluzione senza un ceto organico di rivoluzionari è destinata solo a distruggere ed a preparare un fallimento certo. C’è stata violenza nell’uso del potere giudiziario, nell’uso dei sempre più potenti mezzi di comunicazione, c’è stato un eccesso di violenza nella polemica politica, nella critica, nel linguaggio, nei comportamenti. E la violenza non può far altro che generare violenza, nei giudizi, nei sentimenti, nelle passioni, negli animi. In quale democrazia del mondo, a memoria del secolo, inchieste giudiziarie, ed il clima esasperato che attorno ad esse è stato creato, hanno potuto provocare tanti suicidi, tentati suicidi e morti improvvise. In quale Paese civile e libero del mondo si sono celebrati in piazza tanti processi sommari, sì e’ assistito a tanti pubblici linciaggi e si sono consacrate tante sentenze di condanna prima ancora che sia stato pronunciato un rinvio a giudizio? Tutto questo non può non far riflettere. Doveva far riflettere, mi auguro che faccia riflettere.  Non credo del resto che la moralizzazione della vita pubblica possa esaurirsi con la denuncia ed il superamento dei sistemi di finanziamento illegale dei Partiti e delle attività politiche e con la condanna di tutte le forme degenerative che ne sono derivate. Non credo che solo in questo consista la questione della corruzione della vita pubblica. Non credo che il procedere in modo violento con l’inevitabile inasprimento dei traumi e dei conflitti che ne scaturirà potrà aprire un periodo ordinato e rigoglioso nella vita democratica. Non credo che per queste vie li Paese si incamminerà verso un periodo di rinascita economica, dì riequilibrio sociale, dì un rinnovamento politico ed istituzionale all’insegna di un grande decentramento dei poteri, nel consolidamento dell’unità della Nazione, è insieme di riconquista di un prestigio internazionale tanto più necessario quanto più aspre si vanno facendo la competizione e la conquista di aree di influenza nel mondo. C’è un problema democratico di rinnovamento e di ricambio della classe politica dirigente, c’è un problema di alternanza di forze nelle responsabilità di guida e di governo. E’ un problema che deve essere risolto democraticamente, nel modo più trasparente e diretto, senza provocare il soffocamento del pluralismo politico e senza fare ricorso alla barbarie della giustizia politica. Una politica che fosse intrisa di demagogia e di ipocrisia non sarebbe destinata a fare lunga strada. Così come non è destinato a farla chi ancora oggi continua a non usare il linguaggio della verità, per non parlare di chi si presenta di fronte al paese con l’aria smemorata, con i tratti di chi non sapeva anche ciò che avrebbe dovuto inevitabilmente sapere, di chi ha vissuto sino a ieri in preda a superficiali distrazioni, di chi denuncia nomenklature, ignorando la propria di cui continua a portare tutti i caratteri, e dimenticando il proprio ruolo, la propria responsabilità, di chi addirittura giudica dall’alto delle sue frequentazioni malavitose. Il 2 novembre dello scorso anno moriva improvvisamente Vincenzo Balzamo, deputato al Parlamento, Segretario Amministrativo nazionale del PSI. Dopo settimane di angosce e di tensioni un infarto ne aveva stroncato l’esistenza. Solo pochi giorni prima aveva ricevuto un avviso di garanzia per gravi reati. Da quel momento dopo la sua morte nel giudizio degli inquirenti vengo considerato una sorta di successore universale di tutte le condotte addebitate all’On. Balzamo e vengo investito da una raffica di avvisi di garanzia per concorso in fatti veri o presunti attribuiti ai responsabili dell’Amministrazione del PSI. Purtroppo, la scomparsa immatura dell’On. Balzamo lasciando un vuoto doloroso ci ha privato di un testimone essenziale e decisivo per tante vicende che costituiscono oggetto di indagine. Sta di fatto che fino alla sua morte gli inquirenti concludono con l’On. Balzamo il rapporto concorsuale nei reati che vengono individuati. Alla sua morte coprono con me il posto rimasto vuoto. In assenza di qualsiasi elemento probatorio che possa legarmi agli atti ritenuti criminalizzabili, la traslazione di condotte altrui sotto la responsabilità mia personale in forza della carica che rivestivo e del vantaggio economico che il Partito ne ha tratto, è un fatto del tutto arbitrario ed inammissibile nel diritto penale processualistico. Ammenoché, data la straordinarietà del mio caso, non sia stato sospeso, e soltanto nei miei confronti, il principio di diritto della responsabilità personale, sancito dalla Costituzione. La verità è che sin dall’inizio si è mossa contro di me una azione ispirata da un intento persecutorio evidente che numerosi fatti, che emergono dalla semplice lettura degli atti, provano e confermano in modo chiaro ed inequivocabile. L’obiettivo “Craxi” era un obiettivo politico primario e per tentare di colpirlo si è agito con la più grande determinazione e talvolta anche con la più grande spregiudicatezza, violando ripetutamente la legge e le stesse prerogative della immunità e della inviolabilità del Parlamentare. Di fronte alla Camera la Giunta delle autorizzazioni a procedere ha recentemente dichiarato che ciò che bisogna accertare ai fini della concessione dell’autorizzazione a procedere è “l’esistenza anche di un ombra di volontà di persecuzione“. L’esistenza del “fumus persecuzioni” per un principio di diritto che non può essere ignorato e cancellato, risulta confermata ogni qualvolta il magistrato giunge a compiere atti di indagine preliminare a carico del deputato prima della informazione di garanzia e prima della concessa autorizzazione a procedere. Ebbene, nel “caso Craxi” i magistrati incaricati dell’indagine senza la spedizione delle informazioni di garanzia e senza la autorizzazione a procedere, hanno con insistenza, con accanimento crescente e anche, a più riprese, con sotteso atteggiamento di coartazione, richiesto e elencato elementi probatori da porre a base delle accuse contro di me, presupposte in un teorema già elaborato e per un obiettivo già ben delineato. Tutto questo è avvenuto sistematicamente a partire dai primi atti dell’inchiesta. Ne è scaturita in questo modo una massa ingente di indagini che sono state svolte su di me, illegittimamente, attraverso interrogatori, perquisizioni, sequestri, accertamenti patrimoniali, deposizioni testimoniali, acquisizione di atti. Si è proceduto ad accertamenti trasversali per violare il divieto di indagine in mancanza di autorizzazione a procedere al fine di costruire una ipotesi accusatoria irrimediabilmente viziata perché’ costruita dalla sommatoria di una notizia di reato artefatta e da dati di riscontro formati e selezionati per sorreggerla. Scendendo solo per un attimo nel particolare ricordo che si è giunti persino a sequestrare il conto del mio ufficio di Milano, amministrato dalla mia segretaria che è a tutt’oggi privata della libertà. I giornali ne diedero subito grande notizia e grande risalto gridarono nei titoli “Otto miliardi trovati sul conto della segretaria di Craxi“. In realtà quel conto in quel momento era praticamente in rosso, gli otto miliardi riguardavano l’insieme dei movimenti che su quel conto erano stati fatti negli anni precedenti. Si trattava delle spese generali dell’ufficio, di rimborsi spese fatti a collaboratori, di contributi versati a Centri Culturali, Centri politici sociali ed assistenziali, di spese elettorali e personali. Entrate e spese documentabili e perfettamente legittime. Sta di fatto che in questo modo si è andati a spulciare l’attività che era passata per quasi un decennio attraverso il mio ufficio di Milano e la sua amministrazione, nella perfetta consapevolezza che si trattava di attività politiche e personali risalenti alla responsabilità di un Parlamentare contro il quale non si poteva procedere. Del resto il “Lei conosce Craxi? “Quali rapporti ha avuto con Craxi? “Dica che ha versato a Craxi” e ancora “Quale ruolo aveva Craxi“, ”Chi incontrava Craxi?” è una lunga litania che si è snodata a lungo ed insistentemente attraverso gli interrogatori, di indagati ed anche di testi scelti a bella posta tra le persone dichiaratamente e notoriamente ostili. Si è così indagato su di me e sulla mia famiglia, sulle mie proprietà, e si è trovato modo di indagare sui miei figli e sui miei parenti. Ma v’è qualcosa di più e di ancor più grave. Contro il principio generale ed indiscusso, secondo cui la magistratura può indagare su di un cittadino solo in presenza di una notizia di reato che essa apprende direttamente ovvero attraverso denuncia, querela o informativa di polizia giudiziaria, con riferimento alla vicenda che mi riguarda, i pubblici ministeri milanesi hanno pervicacemente fatto ricerca di una pretesa notizia di reato sulla quale poter costruire il teorema evidentemente già prescelto. Siffatta metodologia di per se sola la dice lunga sul fumus persecuzioni. Già insito nella costruzione di una accusa manifestamente infondata, esso è innegabile allorché, in un contesto minatorio, come quello legato a scarcerazioni anche immediate di chi si fosse reso disponibile a rendere le dichiarazioni desiderate dagli inquirenti, si riesca nel tentativo o semplicemente si tenti di selezionare le notizie di reato e di dotarle di un contenuto piuttosto che un altro. Se in tutto questo non è ravvisabile neppure “l’ombra” di un intento persecutorio allora diciamo pure che il fumus persecutionis è qualcosa di indefinibile, dì inaccertabile, di in avvistabile e cioè è un qualcosa che praticamente non esiste. Anche questo naturalmente lo si può decidere per ragioni politiche le più diverse, ma non per ragioni di verità e giustizia. Aggiungo che non saprei dire, almeno allo stato delle cose, che uso sia stato fatto, è se sia stato fatto delle intercettazioni telefoniche e d’altri metodi d’ascolto. E’ ben possibile che tutto sia perfettamente regolare. Tuttavia non sono il solo ad aver avvertito la presenza come di una “mano invisibile“, irresponsabile, illegale, che, come spesso avviene nelle situazioni confuse e traumatiche, si è mossa e si muove allo scopo di intorbidire le acque e di rendere più agevole l’organizzazione e lo svolgimento di manovre di varia natura. Sta comunque di fatto che una “mano invisibile” in questi mesi trascorsi, simulando furti, ha provveduto a perquisire il mio ufficio, uffici di mia moglie, di mio figlio, locali della famiglia della mia segretaria, e, nella stessa notte, la casa dove abitava mia figlia a Milano ed il suo ufficio di Roma. Il “fumus persecutionis” ritorna ancora ben visibile quando l’indagine viene sistematicamente sottratta alla riservatezza ed al segreto istruttorio e consegnata, attività’ per attività, e sempre con grande e singolarissima tempestività e con dovizia di particolari e di indiscrezioni di varia natura, all’informazione e alla stampa, dalla quale sono poi derivate molto spesso ed in molteplici casi deformazioni e distorsioni di portata e di genere vario e variopinto. Questo riguarda non solo i verbali degli interrogatori, o spezzoni dei verbali, subito diffusi, quando contenevano riferimenti ed accuse dirette e indirette contro di me. Riguarda persino le deposizioni testimoniali, la cui lettura è vietata anche al difensore della persona indagata, che, invece, in alcuni casi, sono state integralmente riferite alla stampa e da questa puntualmente pubblicate. E così contro di me sono state deliberatamente alimentate nei mesi scorsi violente campagne denigratorie, di tale brutalità e di tale natura, da non avere precedenti almeno fino a quel momento, in tutta la storia della Nazione. Ho retto le maggiori responsabilità del Partito Socialista per sedici anni guidandolo in dieci campagne elettorali, ed egualmente per un lungo periodo ho partecipato e ne ho sorretto le responsabilità di governo. Delle attività della struttura nazionale del Partito ivi comprese quelle amministrative mi sono assunto tutte le responsabilità politiche e morali di fronte al Parlamento ed al Paese come era mio dovere di fare ma ho respinto e torno a respingere accuse che considero assolutamente infondate, pretestuose e strumentali ed una campagna di aggressione personale e politica che tutti hanno potuto vedere e valutare. Le accuse partono dal presupposto che il Segretario politico del PSI sia, non il “percettore materiale“, indicati questi nell’amministratore, in suoi collaboratori o fiduciari, ma uno che, alla fine, leggo testualmente: “riceve“. A tutte le attività che vengono descritte, iniziali e finali, e rispetto alle quali vengono elevate gravi imputazioni, il Segretario politico nazionale del Partito Socialista non ha invece mai partecipato in nessuna forma, in nessuna forma né diretta né indiretta è intervenuto e in tutti i casi citati, per favorire l’appalto di lavori, l’assegnazione di forniture, l’acquisto di immobili e quant’altro. Ad un certo punto venivano complessivamente elencati nelle accuse i nomi di quarantuno imprenditori e dirigenti di società private con i quali avrei concorso in azioni esecutive di disegni criminosi. Di questi quarantuno imprenditori e dirigenti di aziende, 38 io non li ho mai ne’ visti ne’ conosciuti, e con uno solo di loro ho intrattenuto nel tempo rapporti di amicizia. Vengono poi elencate 44 società di diversi settori produttivi in favore delle quali io sarei intervenuto in concorso di attuazione di disegni criminosi. Non sono mai intervenuto, ed in tutti i casi citati, e in nessuna occasione, in favore di nessuna di queste 44 società né ho intrattenuto rapporti con alcuna di esse, i loro uffici, le loro strutture e per nessuna ragione, né, per questo motivo, con i “pubblici ufficiali” citati anche se spesso non nominati. Rispetto alla mia posizione i pubblici ministeri non hanno ricostruito fatti, ma solo presupposto un teorema che hanno tentato di supportare con atti di indagine adempiuti nell’ambito complessivo dell’intera inchiesta. Ma, in tutto l’insieme, non è stato neppure avvicinato il livello minimo della garanzia di fondatezza. La sostanza delle accuse che mi vengono rivolte si basa solo su congetture e falsi sillogismi. Soprattutto una serie di condotte e di miei comportamenti che il PM si è preoccupato di evidenziare non raggiungono in nessun modo il livello della rilevanza penale come attività di partecipazione e quindi non possono costituire il fondamento di una responsabilità per concorso, ciò’ che rappresenta l’aspetto essenziale dell’intera impostazione accusatoria. Dei reati per i quali e’ stata formulata richiesta di autorizzazione a procedere, io dovrei rispondere non quale autore materiale, ma come concorrente alla stregua dell’art.110 c.p.. L’argomento merita approfondimento, perché, anche a volere tenere ferme le coordinate in fatto postulate dal teorema che viene disegnato, la fattispecie concorsuale non può dirsi realizzata in base a regole di buon senso, ancor prima che giuridiche. La responsabilità penale a titolo di concorso, infatti, è rigorosamente legata al principio della personalità di cui al comma 1 dell’art.27 Cost. Dal lato del c.d. concorso morale, si ritiene principio univocamente acquisito che non possa essere mai la mera posizione occupata da un soggetto a determinarne il coinvolgimento: il presidente o l’amministratore delegato di una S.p.A., il capo di una amministrazione pubblica, e via dicendo, non possono rispondere penalmente del fatto degli altri organi o persone in cui si articola l’organizzazione, nemmeno in materia contravvenzionale o colposa, secondo l’insegnamento giurisdizionale comunemente ricevuto, quando siano individuabili gli estremi della delega di funzioni. La tesi dei pubblici ministeri, se fondata, dovrebbe di per se’ sola infatti giustificare la sistematica chiamata in causa di tanti altri segretari politici dei Partiti, perché’ secondo quella tesi, il Segretario politico di quel Partito, in ragione della sua carica, sapeva o doveva supporre che finanziamenti illegali o irregolari erano diventati una fonte consistente di sostegno economico dei Partiti. Quando si tratta di impostare problemi di responsabilità penale, dunque a titolo di concorso morale, per fattispecie di concussione, corruzione, ricettazione od altro, rispetto alle quali l’impianto accusatorio individua in altri, con sicurezza, l’autore materiale o comunque l’attuatore della condotta tipica, è tecnicamente impossibile affermare che, stante la posizione di Segretario politico del Partito e perciò solo, come sostanzialmente dichiarato nella richiesta di autorizzazione a procedere non possa che in maniera automatica espandersi le responsabilità ai reati presupposti. La verità è che è tecnicamente impraticabile ogni fattispecie concorsuale a mio carico per il titolo morale immaginato dalla magistratura milanese. In punto di diritto giurisprudenza, dottrina e prassi giuridica depongono univocamente in questa direzione. Da essa gli organi giudiziari inquirenti si sono allontanati per dimostrare una volta di più il fumus persecutionis coltivato nei miei confronti, tenuto conto della mia posizione politica ed istituzionale. Prima di compiere il tragico gesto di togliersi la vita Sergio Moroni, deputato socialista, ha dichiarato: “E’ indubbio che stiamo vivendo mesi che segneranno un cambiamento radicale sul modo di essere del nostro Paese, della sua democrazia, delle istituzioni che ne sono l’espressione. Al centro sta la crisi dei Partiti (di tutti i Partiti) che devono modificare sostanza e natura del loro ruolo“. “Eppure non è giusto che ciò avvenga attraverso un processo sommario e violento per cui la ruota della fortuna assegna a singoli il compito di vittime sacrificali. Né mi estranea la convinzione che forze oscure coltivino disegni che nulla hanno a che fare con il rinnovamento e la “pulizia”“. “Un grande velo di ipocrisia condivisa da tutti ha coperto per lunghi anni i modi di vita dei Partiti e i loro sistemi di finanziamento. C’è una cultura tutta italiana nel definire regole e leggi che si sa non potranno essere rispettate, muovendo dalla tacita intesa che insieme si definiranno solidarietà nel costruire le procedure e i comportamenti che violano queste stesse regole“. “Né mi pare giusto-continua Moroni-che una vicenda tanto importante e delicata si consumi quotidianamente sulla base di cronache giornalistiche e televisive, a cui è consentito distruggere immagine e dignità personale di uomini solo riportando dichiarazioni e affermazioni di altri. Mi rendo conto che esiste un diritto all’informazione ma esistono anche i diritti delle persone e delle loro famiglie“. “A ciò si aggiunge la propensione allo sciacallaggio di soggetti politici che, ricercando un utile meschino, dimenticano di essere stati per molti versi protagonisti di un sistema rispetto al quale oggi si ergono a censori“. “Non credo che questo nostro Paese costruirà il futuro che si merita coltivando un clima da “pogrom “nei confronti della classe politica, i cui limiti sono noti ma che pure ha fatto dell’Italia uno dei Paesi più liberi“. Quando Sergio Moroni si uccise un magistrato inquirente sentenziò con parole ignobili: “Si può morire anche di vergogna“. Nella Magistratura, quindi, emerge un rimpianto nostalgico alla pena di morte. Brutto segno ma non analizzato dai “forcaioli”. Dopo aver letto alla Camera la sua lettera-testamento, il Presidente rivolse a tutti un invito alla riflessione. Ebbene penso che questa riflessione dovrebbe ricondurre direttamente ed essenzialmente al valore della giustizia che deve essere rigorosa ma anche e sempre serena, equilibrata, obiettiva, umana. Nel mio caso la Camera può concedere o negare l’autorizzazione a procedere dopo aver accertato se nei miei confronti è stata violata una norma, o sono state violate più norme che proteggono i miei diritti di parlamentare e i miei diritti di cittadino. Mi auguro che gli onorevoli deputati vorranno farlo, nel modo più franco e libero, con tutto il senso di giustizia di cui sono capaci.”  Conclusioni. La storia è nota. Infatti venne dato un voto negativo, alla richiesta di autorizzazione a procedere, ma tutto questo non provocò l’apertura di un confronto politico sullo stato di salute del sistema politico italiano, ma il suo definitivo “inabissamento” in virtù del fuoco incrociato, di un interessatissimo gruppo dirigente comunista, post ed ex, di una destra guidata dal giustizialismo Leghista tutto altro che interessato a processi di “chiarimento” su temi istituzionali, di un paese a loro estraneo e di una massa mediatica “magmatica” che percepiva l’odore del sangue di un sistema che doveva essere ricondotto dentro “mani” più sapienti. A noi interessa il punto politico e cioè se la fase descritta, lasciata andare alla deriva senza i necessari chiarimenti, è stata o meno l’epicentro di un avvio di una crisi politica ed istituzionale del nostro paese. Indubbiamente il mancato chiarimento tra i poteri, e gli equilibri istituzionali, l’avere lasciato che si sviluppasse una profonda crisi del sistema politico-partitico, polverizzato e inadeguato ad affrontare le importanti sfide che ci aspettavono, è stato un grave errore. Oggi, dopo due rielezioni dei Presidenti della Repubblica uscenti, per incapacità evidente di un sistema politico “inerme” a decidere, si è aperta una finestra preoccupante che assume rilevanza:  il rischio di una trasformazione di fatto dell’attuale forma di governo parlamentare con la correlata accentuazione dei poteri del capo dello Stato, che, però, nel nostro ordinamento non ha alcuna responsabilità politica. A ciò si aggiunga la pericolosa compressione del ruolo della rappresentanza politica e del Parlamento. In tale contesto, il raccordo governo-parlamento sembra essere sostituito da quello governo-presidente della Repubblica, che nel suo messaggio di insediamento alle Camere pare aver delineato un vero e proprio indirizzo politico presidenziale, difficilmente accettabile in una forma di governo parlamentare come quella attualmente delineata dalla Costituzione. Ma se i partiti sono deboli, ovviamente, qualcuno ci pensa a sostituirli. Ma non può essere questo l’obiettivo dei socialisti.