Biblioteca dei Socialisti

Da Craxi a Tangentopoli, verso lo scioglimento del PSI. Fatti e protagonisti.

Segniamoci l’anno, quel 1989 che con la caduta del Muro di Berlino, poneva fine non solo  al regime comunista in Russia ed in tutti i paesi dell’ex-blocco sovietico, ma dava corpo alla affermazione della supremazia dei principi propugnati dai socialisti rispetto alla narrazione comunista. Diviene attuale la proposta per la Unità Socialista, annunciata da Craxi, visto il superamento dei principi che portarono alla scissione di Livorno. Del tutto evidente la inconsistenza del mantenimento di un partito che si denominava PCI, per cui era ineluttabile l’imminente apertura della sua crisi. Con tempestività Craxi lanciò l’idea dell’Unità di tutti compreso il PSDI, anch’esso figlio di un’altra scissione Palazzo Barberini del 1947, per ricostituire l’unità della sinistra italiana, nell’alveo della tradizione del socialismo democratico dell’Europa occidentale. Arriviamo al 1990, con la tenuta delle elezioni regionali in tutto il paese, dove avvenne che il PSI ebbe un primo riscontro dal punto di vista del consenso. I socialisti si portarono al 15,3% come media nazionale. Purtroppo quello che sembrava il periodo di maggiore fulgore del Partito Socialista, nascondeva tanta inquietudine, perché il PSI, con la crescita del “craxismo” , si trasforma in un partito ad immagine e somiglianza del suo leader. Un processo che apre un destino di inesorabile frantumazione.

Quindi nella fase, che possiamo definire storica della affermazione della  “giustezza” dei principi socialisti, si scatena nella vita interna al partito una dialettica per bande, sempre più asfittica con un Segretario che da leader si trasforma in “padrone”. Oggi grazie ad una nostra lettura lontana dalle passioni “correntizie” possiamo anche tentare di analizzare  la relazione tra questo denunciato “strapotere” di Bettino Craxi e l’aggressività che arriva dall’esterno. Viene sottoposta a feroce analisi, con una buona dose di esagerata  preoccupazione, quelli che sarebbero stati gli effetti politici, del  decisionismo craxiano sui temi della politica e del riformismo socialista. È il periodo di Forattini che, sulle pagine di Repubblica, disegna Craxi con i calzari mussoliniani. Ma è il periodo della propaganda a tutto spiano, con l’unico obiettivo di frantumare ogni possibilità di realizzare attorno al PSI ed al suo Leader, una nuova aggregazione di sinistra con una forte impronta riformista e socialista. Si aggiunga che anche nel rapporto con la gente ed il suo elettorato, che guarda con maggiore attenzione al PSI che si insinua lo stress crescente dovuto ad un’aspra polemica interna, “acida” e per bande,  con il successivo doversi misurare  con l’azione corrosiva che arriva subita in seguito alla neonata “Tangentopoli”, a partire dal caso Chiesa,  sollevato dalla magistratura milanese con l’inchiesta che, nel tempo prenderà la denominazione di  “mani pulite”. Ma resta singolare che un contesto, che concretamente riguardava tutti e coinvolgeva tutto il sistema dei partiti della cosiddetta Prima Repubblica, riuscì a mettere in crisi il PSI, destrutturandolo a partire dalle dimissioni di Craxi, che sembrava l’unica strada per ripartire, ma che al contrario diviene, anche attraverso la elezione di diversi segretari, la causa del suo definitivo sfaldamento in associazioni, partitini e movimenti. Eppure alle lezioni politiche del 1992 il PSI raccolse  il 13,5% dei consensi, poco meno di quelli presi alle elezioni regionali precedenti: Furono eletti  92 deputati e 49 senatori. Per niente male rispetto al contesto. Ma a nulla valse il risultato e,  seppure la Presidenza del Consiglio venne affidata al professor sottile Giuliano Amato, i risultati elettorali, come è tipico del sistema italiano, non ebbero grande valore di fronte ad un anno di bombardamento  che, la  stampa di destra  insieme agli intellettuali della sinistra da “salotto”, abbarbicata attorno a Scalfari e soci, affiancati dai  nuovi grandi padroni dei media, svilupparono per tutto il corso del governo . L’ossessionante campagna contro il finanziamento pubblico dei partiti, ebbe il proprio culmine con la sconfitta dei partiti di governo ai referendum promossi dai radicali. Naturalmente, quei temi sui quali i cittadini si espressero, con una maggioranza del 90,3%,  a favore dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, non hanno risolto nulla, anzi  hanno provocato gli effetti degenerativi, che si trascinano ancora,  Ma tanti sono stati i fatti che hanno riguardato l’onore di diversi ed importanti dirigenti socialisti, in concreto ebbero luogo inchieste penali a carico di esponenti, avvenuti a:

  • Torino con il coinvolgimento iniziale di Giusi La Ganga;
  • Savona con l’arresto di Alberto Teardo ;
  • Brindisi dove viene coinvolto ed arrestato Rocco Trane segretario del ministro dei Trasporti Claudio Signorile;
  • Viareggio con l’arresto per tangenti di alcuni amministratori locali compreso Walter De Ninno, funzionario della segreteria nazionale del PSI;
  • Trento su forniture d’armi all’Argentina e mazzette e a proposito della cooperazione in Somalia e Mozambico, coinvolti Paolo Pillitteri e Ferdinando Mach di Palmestein.

Ma il punto di non ritorno arriva con il suicidio del deputato socialista  Sergio Moroni, che lasciò una lettera-testamento indirizzata all’allora presidente della Camera Giorgio Napoletano, denunciando l’esistenza della grande ipocrisia della politica italiana, anzi, lo stesso descrisse: “Un grande velo di ipocrisia (condivisa da tutti) ha coperto per lunghi anni i modi di vita dei partiti e i loro sistemi di finanziamento. C’è una cultura tutta italiana nel definire regole e leggi che si sa non potranno essere rispettate, muovendo dalla tacita intesa che insieme si definiranno solidarietà nel costruire le procedure e i comportamenti che violano queste regole.»  Questo è il vortice delle situazioni che consente al D’Alema Segretario Nazionale del PDS, una doppia politica una aggressiva e l’altra molto abile. La prima figlia del concetto semplice che “l’erba del vicino è sempre più verde”, per cui colpire l’area socialista, nel filone culturale del pensiero togliattiano, non fa mancare considerazioni sull’incrocio tra i gruppi dirigenti socialisti ai vari livelli responsabili o coinvolti nelle vicende di Tangentopoli con la grande imprenditoria italiana. Come se la storia del PCI, partito dal quale proveniva fosse del tutto immune dagli intrecci da lui “denunciati. Concetto espresso anche tramite  una intervista pubblicata su un libretto edito dalla Longanesi. Il leader che all’interno del suo partito evita di fare i conti con il suo vecchio PCI, che divenendo segretario del PCI-PDS lancia per iscritto i suoi obiettivi: liquidare il PSI, colpire Craxi e tutti i socialisti, soprattutto quelli più popolari che potevano apparire un ostacolo alla sua presa dell’area politica e del posto all’Internazionale Socialista. Nella intervista citata arrivò al punto di dichiarare “L’unità socialista era una grande idea, ma senza Craxi. Allora avevamo una sola scelta: diventare noi il partito socialista in Italia». Ma il punto è che niente viene fatto per assumere, all’interno di  questo obiettivo, i principi posti da Craxi alla base del progetto di Unità Socialista. Mettere nel simbolo Unità socialista voleva esprimere nei confronti di tutta la sinistra italiana, un invito esplicito, cioè ‘Qui dovete venire’. Un invito esplicito a dirigenti e militanti di un partito che si chiamava ancora comunista, impegnato a cercare una soluzione nel pieno di un profondo travaglio politico, di tornare a casa superando le vecchie, ed ormai inesistenti, opzioni politiche alla base delle divisioni alla base della scissione di Livorno. Nel frattempo Claudio Martelli prese le distanze da Craxi, formando una sua corrente: Rinnovamento Socialista. Tutto mentre all’Assemblea Nazionale del PSI vennero presentati, siamo nel 1992, tre documenti: il primo di pieno sostegno e solidarietà a Craxi, il secondo a sostegno delle posizioni di Martelli, il terzo da Valdo Spini. Vinse il primo documento illustrato da Giusi La Ganga , al quale però venne meno il sostegno di Martelli. L’anno si conclude il primo avviso di garanzia a Bettino Craxi, mentre la diaspora era ormai partita. Infatti la corrente Alleanza Riformista, effettuò una manifestazione ispirata dal  Presidente della Regione Emilia Romagna Enrico Boselli. Nello stesso mese anche Valdo Spini, tiro dritto, fini a promuovere l’assemblea aperta, questa volta chiamata del Rinnovamento del PSI. Ed avvenne che all’indomani delle due Manifestazioni Craxi si dimise da segretario del PSI, anche perché raggiunto, insieme a Martelli, anche lui dimissionario dal Governo e dal PSI, dall’accusa di bancarotta fraudolenta. Ed è così che all’assemblea nazionale di febbraio viene eletto Giorgio Benvenuto, lasciato alle perse con un Governo Amato che, falcidiato dalle continue dimissioni di ministri e sottosegretari, man mano che questi venivano raggiunti da avvisi di garanzia, annunciò le dimissioni. Quindi arrivò il momento del Governo Ciampi (anno 1993) che per la prima volta vide la partecipazione di tre ministri post-comunisti. Un periodo che vide il suo “centro”, ma dovremmo dire la sua occasione, per un’analisi dovuta sul sistema di corruzione che aveva investito tutto il sistema politico italiano, nella giornata del 29 aprile 1993, dopo una veemente autodifesa di Craxi, che tra l’altro chiamò nuovamente in causa tutti i suoi colleghi parlamentari, la Camera dei Deputati negò l’autorizzazione a procedere contro l’ex presidente del Consiglio socialista. Agli storici dovrebbe essere lasciato il compito  di spiegare le motivazioni delle diverse reazioni, alcune delle quali del tutto scomposte. Perché se il PDS ritirò i propri ministri da un governo insediatosi il giorno prima, hanno poco di politico le cose accadute nella giornata del 30 aprile 1993. Si svolge, con tempi ad orologeria una manifestazione a Roma in Piazza Navona, per contestare il voto parlamentare in favore di Craxi. Una Manifestazione dove parlarono il segretario del PDS Achille Occhetto, Rutelli e l’ex magistrato Giuseppe Ayala che incitarono i presenti alla protesta che si concluse con la contestazione pubblica davanti all’Hotel Raphael,  contro l’ex Presidente del Consiglio, con il famoso lancio di monetine e i cori irridenti all’indirizzo di Craxi. Tutto nella splendida compagnia dei Leghisti accompagnati con le corde per “impiccati”, dei fascisti e post fascisti con le monetine. Uno scempio democratico voluto solo per attutire il tuono proveniente dalle parole di Craxi in Parlamento. Ma prima di chiudere con questo argomento dobbiamo tornare alla storia del PSI che dopo nemmeno cento giorni dalla sua nomina a segretario del PSI, vide Giorgio Benvenuto dimissionario. Giorgio non fece altro che prendere atto che, dopo avere ottenuto dall’esecutivo del PSI che gli inquisiti fossero sospesi da ogni attività di partito, si rese conto della impossibilità di superare l’ostruzionismo degli ultimi craxiani al suo progetto di rinnovamento del PSI. Accadde così che il 28 maggio l’assemblea nazionale elesse l’ex-segretario nazionale aggiunto della Cgil Ottaviano Del Turco nuovo segretario nazionale del PSI. Da questo punto in poi si accentua la diaspora socialista protagonista Enzo Mattina, Giorgio Benvenuto divenuto uno dei fondatori di Alleanza Democratica. Il resto è solo la storia di un tracollo politico ed elettorale, l’annuncio del collasso politico. Ma bisogna attendere il 16 dicembre data di svolgimento dell’ultima Assemblea Nazionale del PSI nella quale Craxi prese la parola, nel tentativo di riprendere il controllo del partito. C’era, ed è vero, all’o.d.g.  la proposta di cambiamento del nome e del simbolo: da PSI a PS e dal garofano alla rosa, riferimento al simbolo del socialismo europeo, ma l’intervento di Craxi fu in difesa di tutti i socialisti nella sua stessa condizione di indagato o rinviato a giudizio e contro quella parte del gruppo dirigente che sosteneva di voler portare avanti una forma di rinnovamento attraverso l’emarginazione dei craxiani e l’ancoramento definitivo del partito al nascente polo progressista. La maggioranza del PSI si schierò con Del Turco, ma non in larga misura. Intanto quell’odg sul cambio del simbolo venne contestato, con relativo abbandono per dare vita alla Federazione dei Socialisti (Ugo Intini, Margherita Boniver, e Franco Piro). Bisogna, a questo punto solo accennare alla grave cisi finanziaria, dovuta anche all’abbandono del PSI di parecchi parlamentari e senatori, che portò alla chiusura della sede storica di Via del Corso, delle riviste storiche Mondoperaio e Critica Sociale del quotidiano Avanti. Arrivò infine la giornata del 29 gennaio 1994 con Del Turco segretario che apre gli Stati Generali per la Costituente Socialista, con il presidente Pierre Maurov dell’Internazionale Socialista dove venne lanciata l’idea di un partito a sinistra alleato con il PDS di Occhetto. Arrivate le elezioni, con Occhetto candidato Presidente, giunse pure la sconfitta, per il PSI fu il tracollo non giungendo nemmeno al 4% soglia minima per avere deputati eletti anche nel proporzionale. Il PSI sperava di superare la soglia di sbarramento del 4% dei voti, il che gli avrebbe consentito di eleggere propri parlamentari anche nella quota proporzionale. Con il suo 2,5% dei consensi, pari a circa 800. 000 voti. I socialisti riuscirono comunque a eleggere 14 deputati alla Camera, oltre a 9 senatori. Il risultato anche delle cose dette da Craxi, cioè «Se proprio i comunisti non potranno essere fermati, abbiamo una carta di riserva. Bisogna che Berlusconi entri in politica personalmente». Una investitura pesante, che accompagna l’avvio verso la inconsistenza dei socialisti, che infatti alle successive europee, con la lista Democratici per l’Europa raccolse l’1,8% eleggendo Riccardo Nencini ed Elena Marinucci. Subito dopo il Comitato direttivo del PSI prese atto delle dimissioni di Del Turco,  e col voto di tutti i presenti,  nominò Valdo Spini Coordinatore nazionale, affidandogli il compito di organizzare entro il successivo mese di settembre il Congresso straordinario del partito. Un atto che sancisce la fine del PSI, perché Spini, che proponeva un cambiamento di identità, con la eliminazione del termine «Socialisti», costituì la Federazione Laburista , alla quale aderì la grande maggioranza dei parlamentari eletti nelle liste socialiste, che uscirono quindi dal PSI, determinando così il definitivo tracollo anche finanziario del Partito. Ultimo atto appena una settimana dopo, il 13 novembre 1994, si tenne presso la Fiera di Roma, il XLVII Congresso del PSI, composto dai delegati socialisti che avevano deciso di non seguire Spini nel nuovo partito laburista. Si confrontarono due posizioni: quella maggioritaria, sostenuta dall’ex-segretario del PSI Ottaviano Del Turco e da Enrico Boselli che proponevano la messa in liquidazione del PSI per realizzare i Socialisti Italiani e quella minoritaria, contraria allo scioglimento del PSI, sostenuta da Fabrizio Cicchitto e da Enrico Manca che successivamente diedero vita al Partito Socialista Riformista. La maggioranza dell’Assemblea, preso atto della gravissima crisi politica e dell’insostenibile situazione finanziaria in cui versava il partito, decise la messa in liquidazione del PSI e di fatto il suo scioglimento. Fu una scelta dolorosa, dovuta principalmente a motivi economici. L’enorme situazione debitoria del partito e lo sfaldamento del gruppo dirigente dell’epoca craxiana, il venir meno del finanziamento interno dal tesseramento e dalle contribuzioni di parlamentari e amministratori locali, fece sì che le sezioni e le sedi del PSI venissero pignorate da banche e creditori.