Biblioteca dei Socialisti

Per informazione e politica “l’importante è il  prodotto e non le idee” R. Sennett

Nell’articolo precedente dedicato al grido di battaglia di Riccardo Lombardi sulla necessità di perseguire, in una area politica geografica come l’Europa, l’utopia di essere tutti “più ricchi”. Non più consumisti, ma appagati nei beni materiali e della qualità della vita, ma ci si chiedeva se l’informazione può avere un ruolo in questo processo di cambiamento. Per il sociologo americano R. Sennett è del tutto da escludere. Allora, questa ulteriore riflessione prende la  forma del  “ pamphlet”  (un “libello” di breve pubblicazione) scritto con intento polemico, contro una situazione, magari  contro i potenti, o contro l’intera società (civile, politica o letteraria), su un tema di stretta attualità. Uno scritto che nasce dalla  convinzione che non ci sono alternative all’apertura di una riflessione critica sull’oggi, anche per fissare dove siamo e come siamo combinati e chiedersi se ne usciamo e con che cosa lo facciamo. Non sarà di aiuto, per il raggiungimento di questo appuntamento, un settore, più volte definito essenziale, quel mondo culturale che circola intorno alla informazione, che oggi esplicita una sua crisi, dalla quale non si intravede via di uscita. È del tutto legittimo, in questa fase di aspro dibattito a sinistra, coinvolta ormai in tutte le sue forme di rappresentanza, chiedersi se la stessa è in grado di misurarsi con autorità sul terreno economico per  commisurarlo su quello dei valori sociali. Ma il tema è se  la informazione e gli operatori  sono in grado di dare un contributo di conoscenza, di esercitare il loro ruolo che è quello di dare la notizia o la informazione. Se posso spararla più grossa mi ostino a credere in una idea “arcaica”, cioè per un giornalista, i fatti devono essere separati dalle opinioni.  Ma ciò non accade perché l’operatore della informazione è ormai diventato un player che non si accontenta più di restare ai margini, per commentare, raccontare o criticare, con il condimento della notizia o del fatto,  ma vuole esercitare un ruolo “politico” di orientamento, mettersi su un piedistallo, senza mai pensare a misurarsi sul terreno del consenso o delle elezioni. Qualche illustre Direttore di giornale posto di fronte a questo interrogativo  ha risposto che la loro area di consenso è il numero di lettori. Giusto se non fosse che i dati di distribuzione alle edicole  indicano una generale contrazione sia in termini di diffusione assoluta che di vendite.  Ma c’è altro che è avvenuto nel processo di mutazione della editoria italiana, arricchita da ingressi di nuovi gruppi imprenditoriali e finanziari, che hanno prodotto grandi operazioni di investimenti, di scambio e compravendita  di testate e reti sulla informazione fondando, comprando e condizionando tutto, ma cambiando anche tutto, dalla missione del giornale all’assetto delle redazioni, fino alle Direzioni. Questa situazione è diretta verso la politica e vuole imporre una diversa modalità di partecipazione ai processi di determinazione democratica che, i proprietari di mezzi “poderosi”, vogliono usare, per incidere sulla realtà e per tutelare al meglio i loro interessi. Oggi dopo avere raggiunto l’obiettivo di fare scendere Conte, giudicato troppo “bambino”, per fare le cose utili (a loro) introducendo una torsione comunicativa, da parte di gran parte dei giornali e dei media in genere, che su tutti gli argomenti hanno scatenate campagne contro il governo di Giuseppe Conte , mentre oggi sugli stessi temi, magari dimenticando le loro vecchie posizioni, lodano invece il premier in carica Mario Draghi. Come non osservare che uno dei punti di maggiore critica nei confronti del governo Conte, quello sul mancato uso del MES, portata avanti dal leader di un partito della maggioranza senatore Renzi ripresa rimbalzata e riproposta con ossessione dalla informazione come questione dirimente, oggi il Presidente Draghi, utilizzando gli stessi argomenti di Conte, dice NO. Aggiungo, come esempio. un altro “mantra”, usato con confusione dai tanti operatori della (dis)informazione, come il Piano Vaccinale. Si scrive che finalmente c’è un Piano, mentre prima non c’era, l’altra che il Piano è stato rovesciato (e quindi doveva esistere) superando la “Primula” ideata da Arcuri (in sintesi almeno un centro per città organizzato dall’esercito e dai volontari, in collaborazione con il personale sanitario), per ritrovarci con un nuovo Piano. Poi leggi che ripropone al centro i tendoni o luoghi organizzati in ogni città, quindi uguale. Ma quella stupenda è che durante la precedente gestione del Commissario Arcuri (quindi all’inizio della vaccinazione) si facevano 120mila vaccini al giorno, alla data del 25 marzo, con il doppio dei vaccini a disposizione si sono fatte una media di vaccinazioni pari a 128mila. Cambio di passo su tutto anche quando  le azioni sono pressoché identiche. La mistica ha avuta la sua esplosione con il Recovery Plan, che il Presidente Conte ha collocato in perenne ed imperdonabile ritardo, rispetto alla consegna prevista entro il 30 aprile. Oggi con   Draghi che, giustamente, si sta prendendo il suo tempo è tutto ok. Ma il divertente è la “favola” renziana, rilanciata e manipolata come una clava dai solerti giornalisti, sul pericolo democratico rappresentato dai tecnici e consulenti, operativi sulle missioni, ma in una rischiosa  sovrapposizione con i  Ministri. Tanto pericoloso che a seguito dell’insistenza degli italo renziani, nel piano di Conte si cancellò la Task Force dei tecnici. Oggi che Draghi ha messo, al posto dei passati Ministri politici, nei dicasteri chiave, dei tecnici (sommi capi gli stessi che collaboravano con  Conte) che stanno operando sul Recovery, si è finalmente prodotto un cambio di passo. Ma un coro insistente, senza distinzioni, da parte dei giornalisti del video e dei giornali di ogni orientamento,  nel vituperio contro Conte, che oggi altrettanto unanimemente si esercitano in  lodi così sperticate a Draghi, che lui stesso comincia a preoccuparsi. Questa è la situazione fatta eccezione per qualcuno. Ma se tutto si è realizzato, come un disegno unico, da parte di operatori della informazione che rispondono a gruppi editoriali disparati, ma tutti interessati al “destino” delle risorse, allora possiamo dire, molto concretamente , che il giornalismo è un settore della cultura in crisi. Siamo come caduti in un immenso salotto nel quale non si ragiona più con i dati, ma si va dietro al “chiacchiericcio” del sentito dire. Quale novità può fare pensare gli eredi del giornalismo “liberale” italiano che non è necessario, nemmeno nella buona creanza e nel rispetto delle opinioni altrui, obbedire alla deontologia professionale. Il tutto condito da una supponenza esplicita dei tanti giornalisti  che fa credere loro non di essere professionisti come gli altri, ma soggetti che possono pronunciare ogni tipo di sentenza inappellabile e mai criticabile, caso contrario c’è la risposta di massa: Tutti insieme a manifestare  solidarietà al collega, se il Giudice-giornalista viene criticato per la sua sentenza. La sintesi è che un/a giornalista può dire di tutto nei confronti di un politico, dalla camicia che indossa fino a quello che potrebbe  pensare, anche quando non lo dice, e questa è informazione, mentre l’interessato/a  se esprime un giudizio sulle cose scritte o dette dal giudice-giornalista, è un antidemocratico che si ribella ad una sentenza dovuta in nome della Libertà di stampa. Un altro esempio è che a pochi giorni dall’ultimo Dpcm, che naturalmente con Draghi non ci sarebbero stati più, mentre i ristori sarebbero arrivati per tutti, prima di subito e soddisfacenti. Ma il triste raddoppio dei  mesi di ritardo e la generale insoddisfazione non sono niente, mentre nessuno va in piazza a protestare. A questo si sono ridotti i fautori della libera informazione, senza chiedersi se sono liberi solo nei confronti degli ignari lettori, ai quali promettono continuamente Informazione separata dalle opinioni. Ma concludo perché non vorrei che tutto venisse letto come una critica “spietata” nei confronti di Draghi che è al contrario  un fuoriclasse in campo economico, con esperienze internazionali che lo rendono un leader nel suo settore. Purtroppo, e nonostante il profumo di incenso cosparso dai suoi “prossimi nemici”, anche lui al governo di un paese non può che avere le sue difficoltà non risolvibili con teorie di politica economica. Al contrario sono convinto che, e magari non condividerò le scelte, saprà occuparsi delle persone, dei loro bisogni, delle loro povertà degli ultimi, ma anche alla scuola, all’edilizia, alle opere pubbliche, i grandi sevizi e infrastrutture. In maniera diversa dalle mie opinioni ma lo farà. Auguriamoci che Draghi nel nome della autonomia della politica, delle mediazioni, delle intese e degli interessi della gente faccia le scelte giuste senza farsi condizionare dagli “adulatori” di oggi. Sarà duro perché chi si sente “giudice” oggi e riuscito  autore di  una autentica “campagna” di pressione sui  leader, sulla  politica e  sulle istituzioni, non mollerà facilmente la leadership acquisita, anche perché  gli interessi, i gruppi imprenditoriali ed editoriali non andranno in vacanza. Spero di essere smentito ma annuso aria che odora di “dittatura mediatica” replicata su tutti i mezzi di comunicazione scevri dall’osservanza di una misura del  loro grado di elasticità morale. Stimati professionisti, che assistono  a comportamenti di conclamata “incoerenza”  senza chiederne la giustificazione dovuta, anzi il  Leader che si muove sul terreno del cambio di  fronte “repentino” è un  “genio”, o meglio una specie da “ammirare”. Diviene evidente che, senza misurarsi con i metodi messi a disposizione da uno Stato Democratico ci troviamo di fronte ad uno “strisciante” tentativo che supera l’ambizione ad informare per condizionare, anch’esso discutibile e poco sopportabile, ma addirittura ad imporre un primato, senza spiegare a quale titolo. Ormai anche il limite dato dalle querele, che i malcapitati oggetto di insulti, avanzano non hanno più nessun senso, perché anche una certa condanna ha un costo che gli editori sopportano facilmente.  Concludendo nell’articolo richiamato all’inizio pubblicato su il Faro , c’è anche l’altro punto di  interesse, che rende i  Media uno strumento a reti unificate, che confermano quello che clamorosamente da tempo racconta il  sociologo americano Richard Sennett. Uno studioso che sostiene da tempo l’opinione sul  consumatore contemporaneo e cittadino con diritti politici, ma  non soggetto consapevole. Arriva ad affermare che la società attuale lascia emergere una voglia di consumare, ma non specificatamente legata alla “conoscenza” o magari alle leggi o all’etica collettiva, che deve muovere  una società consapevole dove ci sono regole per “stare insieme”.  Quindi la politica non è più il luogo delle  idee, del confronto o, meglio,  lo strumento per migliorare o migliorarsi, ma marketing dove le idee sono facilmente sostituibili, conta il “se stesso” offerto come prodotto. Anzi l’imperativo è diversificare le proprie idee, creare distanze dagli altri, anche quando è poco utile, solo per essere presenti dando l’impressione di offrire al pubblico dinamicità e volontà di fare. La perdita di senso critico degli operatori della Informazione, non coglie questo aspetto, perché ormai preda della richiamata caduta “culturale” che si osserva in questo mondo. Il problema è che si è rotto il rapporto tra qualità della informazione e “gratitudine” del lettore che una volta si traduceva nel numero di copie vendute. Una relazione  che non esiste più, perché, questa è la sentenza del sociologo Sennett, “per la Informazione e la politica l’importante è il  prodotto e non le idee.