Biblioteca dei Socialisti

“Una società più ricca perché diversamente ricca”. Riccardo Lombardi.

Solo la convinzione che non ci sono alternative all’apertura di una riflessione sull’oggi, per fissare dove siamo, come siamo combinati , quando ne usciamo e con che cosa lo facciamo mi convince ad esternare, questa più che lunga riflessione che, prima o poi sconfinerà nel “ricco” passato della sinistra italiana ed Europea. Il punto è che la Pandemia, ha determinato una situazione del tutto nuova. Il cambiamento verificatosi nella sinistra, nei suoi passaggi  che vanno dall’alternarsi costante delle sue leadership, ai momenti epocali quali la transizione dall’ideologia ai valori  è stato il cesto ricco del dibattito. Bisogna aggiungere altri aggettivi di valore, vere e proprie novità entrate nell’agone del confronto dialettico,  che vanno nell’uso delle parole e dei concetti alla base dei significati da dare alla innovazione ambientale, allo sviluppo sostenibile, ma anche al tema esploso della eguaglianza tra i popoli e le persone.  Il primo quesito  E’ giunta l’ora di verificare se esiste un rapporto tra la situazione socio-economica attuale con l’utopia lombardiana, fatta propria dalla sinistra europea, per la realizzazione di una  “società diversa, più ricca perché diversamente ricca”. È del tutto legittimo, in questa fase di aspro dibattito a sinistra, coinvolta ormai in tutte le sue forme di rappresentanza, chiedersi se la stessa è in grado di misurarsi con autorità sul terreno economico per  commisurarlo su quello dei valori sociali. Intanto, ma non è un gioco, è entrato nella discussione un soggetto, con un suo radicale cambiamento di ruolo: la informazione e gli operatori della stessa.  Un Player che non si accontenta più di restare ai margini, per commentare, raccontare o criticare, fermo restando la fornitura della informazione raccontando fatti, notizie  e cronaca, ma vuole esercitare un ruolo “politico” di orientamento, senza mai pensare a misurarsi sul terreno del consenso o delle elezioni. Qualche illustre Direttore di giornale posto di fronte a questo interrogativo  ha risposto che la loro area di consenso è il numero di lettori, giusto se non fosse che i dati di distribuzione alle edicole  indicano una generale contrazione sia in termini di diffusione assoluta che di vendite.  Quindi l’Informazione, che fa sempre meno persa tra i lettori, si candida ad essere lo strumento per  l’uso e le indicazioni  delle moderne letture psicologiche, per illustrare le situazioni produttive ed economiche, il contesto delle relazioni sociali e politiche. Questa situazione ci obbliga  a  leggere la evoluzione attuale della politica, con il filtro di chi è consapevole di quanto essa è sottoposta all’influenza degli strumenti della comunicazione odierna, proprietari di mezzi “poderosi”,  per esercitare la massima capacità di incisione sul contesto. Un elemento in più per una  politica esercitata con l’intento di ristabilire i valori e il grande  pensiero del movimento della sinistra, di oggi e di ieri.  Non ne possiamo afre a meno, visto che la  novità odierna emerge, dal fatto che tante delle decisioni e delle soluzioni politiche  attuali, nel nostro paese arrivano dopo autentiche “campagne” di pressione sui  leader, della politica e  delle istituzioni. Gioco forza non possiamo che assumere come esistente la “svolta” che la informazione ha realizzata. La trasformazione della sua piattaforma stampa, video o media in strumenti di “spettacolarizzazione”,  la produzione del chiacchiericcio, come sostituto della informazione, dei fatti e delle circostanze. La modifica dei palinsesti e delle strutture dei programmi in grado di realizzare una produzione video con servizi di supporto, che addirittura vogliono apparire neutri, sono la esplicitazione del profondo cambiamento del ruolo, dovuto all’ingresso nel mondo della editoria di altri soggetti non associabili agli Imprenditori di una antica visione, per un secolo addirittura figura romantica. di Editore puro. Come negare che la stessa struttura dei programmi, sono ormai a fotocopia, e formano, con la lettura di titoli anche di testate di poca diffusione e scarsi lettori e con le considerazioni mirate, la realizzazione di strumenti di pressione. In fondo non bisogna nascondere che stiamo assaggiando una sorta di “dittatura mediatica” replicata su tutti i mezzi di comunicazione scevri dall’osservanza di una misura del  loro grado di elasticità morale. Ma chi avrebbe immaginato, qualche anno fa in presenza di direttori e giornalisti di notevole spessore (come i Montanelli, i Biagi o Zavoli) che si sdoganasse il contrario di quello che per anni (forse meglio pensare in tempi secolari) abbiamo coltivata come l’idea centrale della politica e del comportamento.  Stiamo parlando della triade rettitudine-coerenza-lealtà che l’uomo della informazione assumeva come stella polare per criticare, giudicare o intervistare il politico o il leader. E ne erano poderosamente gelosi. Oggi accade quello che non avremmo mai pensato possibile, cioè che un giornalista potesse addirittura assistere a comportamenti di conclamata “incoerenza”  senza chiederne la giustificazione dovuta. Altro mondo perché adesso assisti da parte dei “padroni” dei titoli e contenuti della comunicazione che la “coerenza” non è uguale ad onestà intellettuale, ma segno inequivocabile di mancanza di intelligenza. Un passaggio frivolo, ma utile allo scopo da raggiungere:  erigere il Leader che si muove sul terreno del cambio fronte “repentino”, e senza tante spiegazioni, all’altezza del “genio”, anzi una specie da “ammirare”. Per cui chi si permette di chiedere spiegazioni sulle improvvise “conversioni”, dei leader politici  è cretino, antico e fuori luogo e, soprattutto, uno che non riconosce l’intelligenza del convertito. Quindi ci troviamo di fronte alla proclamazione, senza una adeguata  motivazione, della resa su quando affermato dai sondaggisti, sempre operativi ed incisivi nel teatrino della politica, diventata totale ed invasiva. Ed è così che diviene naturalmente accettato il significato da dare alla parola gradimento, e  al suo contrario. Il quantitativo di consenso che, acquista un leader non dipende più dal merito dalla conoscenza dalla sua capacità di indicare soluzioni, di indicare terreni programmatici, per la soluzione dei problemi della società, ma solo dalla qualità o di  quando sa, o non sa, comunicare senza l’obbligo di spiegare come, quando e come interverrà per  dare concretezza al suo dire. Nessuna intenzione di dimenticare il ruolo “prestigioso” dei sondaggisti, che si affannano ad indirizzarci, e spiegarci che le leadership crescono  in questo immenso schermo mediatico dell’apparire.  Così cresce la modalità, la tecnica o magari la strumentazione per decretare il successo politico. Ora se, questo mondo, fatto da sondaggisti ed operatori del mondo della Informazione, giunge a questa conclusione, assumendo il concetto che ogni riferimento ai programmi, alle opinioni o alla concretezza degli obiettivi proposti è materia di secondo piano, si apre la strada alla domanda su se tutto questo ha una logica e perché? Per cercare di dare una risposta che abbia una sua credibilità, da questo momento definiremo questa azione con una sigla: Media. Sono un mondo che fanno oscillare il “battacchio” per muovere il  campanello utile a  potere ripetere, con informazioni mirate  e testimonianze sul campo che  il sistema politico italiano “barcolla”. Naturalmente è quello stesso mondo Media che in questi giorni dichiara che il sistema politico è in “crisi”. Per tradurre stiamo parlando di coloro che lavorano per raggiungere l’obiettivo di “destabilizzare” qualsiasi equilibrio si determini nelle Istituzioni o si tenti di realizzare, anzi ne denunciano negativamente l’esistenza senza nemmeno interrogarsi sulla “correttezza” del loro ruolo. Diviene evidente che, senza misurarsi con i metodi messi a disposizione da uno Stato Democratico ci troviamo di fronte ad uno “strisciante” tentativo che supera l’ambizione ad informare per condizionare, anch’esso discutibile e poco sopportabile, ma addirittura ad imporre un primato, senza spiegare a quale titolo. Ormai anche il limite dato dalle querele, che i malcapitati oggetto di insulti, avanzano non hanno più nessun senso , perché anche una certa condanna ha un costo che gli editori sopportano facilmente. Quindi circolano nei Media interessi diversi  per cui diventano  l’arma  usata per il controllo della politica. Un giro di frasi è di parole  per tentare una risposta al perché tanti operatori economici e della finanza, hanno acquistato, sono proprietari o hanno fondato giornali o reti televisive nel nostro paese, con una musica che suona la stessa nota. Venendo al punto di questo interesse, che rende i  Media uno strumento a reti unificate, si  conferma clamorosamente quello che viene da tempo raccontato dal sociologo americano Richard Sennett. Uno studioso che sostiene da tempo l’opinione sul  consumatore contemporaneo e cittadino con diritti politici, ma  non soggetto consapevole. Arriva ad affermare che la società attuale lascia emergere una voglia di consumare, ma non specificatamente legata alla “conoscenza” o magari alle leggi o all’etica collettiva, che deve muovere  una società consapevole dove ci sono regole per “stare insieme”.  Quindi la politica non è più il luogo delle  idee, del confronto o, meglio,  lo strumento per migliorare o migliorarsi, ma marketing dove le idee sono facilmente sostituibili, conta il “se stesso” offerto come prodotto. Anzi l’imperativo è diversificare le proprie idee, creare distanze dagli altri, anche quando è poco utile, solo per essere presenti dando l’impressione di offrire al pubblico dinamicità e volontà di fare. È la logica che ha mosso Renzi, nella sua forsennata, ricerca dell’abbattimento del Governo del cosiddetto Conte bis, che pure aveva contribuito a realizzare. È un esempio calzante per dimostrare la lontananza dall’idea di fare pensare a politici affidabili, ricchi di conoscenza, di esperienza e di relazioni sociali, ma mantenere la barra dei processi che conoscono solo loro, nei meandri del Palazzo. Ma se sono vere queste considerazioni, sostenute dalle riflessioni di Sennett, possiamo dire che, in questa era politica, lo strumento ambito delle rappresentanze è il possesso delle tecniche manipolatorie. Niente a che fare con il concetto che viene illustrato in: DEMOCRAZIA E POLICY MAKING: UNA RIFLESSIONE DI LUIGI BOBBIO.  Un libro che ci regala una spiegazione, cioé  <L’archetipo di Alessandro Magno a Gordio che taglia il nodo invece di scioglierlo è tornato a esercitare un forte richiamo nella nostra democrazia post-consociativa. In effetti la parola decidere è, dal punto di vista etimologico, parente stretta di recidere. E non si tratta di un’etimologia del tutto fuorviante. Non si decide senza tagliare via o sacrificare qualche alternativa o qualche possibilità.> per poi aggiungere  “Oppure di realizzare risultati peggiori o meno duraturi di quelli che avrebbe potuto raggiungere dipanando la matassa con gli altri attori coinvolti.  Dobbiamo insomma renderci conto che le moderne democrazie non abitano a Gordio>>. Se ne può dedurre che  le basi per un successo politico ed elettorale, non sono più legate alla proposta di realizzare una fase politica programmatica ed ideale da offrire alla collettività, che Bobbio chiamava mercato delle idee. Ecco perché restiamo colpiti dal contesto che ci convince sulla grande “saggezza” di aprire una riflessione utilizzando le categorie interpretative di  Sennett. Al contrario delle tesi di Norberto Bobbio la democrazia come mercato delle idee,  non è considerata rilevante dai politici attuali  che la considerano una impostazione  lontana dal “cliché” attuale, infatti le nostre leadership attuali considerano questa convinzione:  stramba e demodé. Ed ecco il perché dei  Media, di quel mondo che nuota in questa fase politica , dove la rappresentanza dei partiti , quello italiano in particolare, non è andato in crisi solo per l’alleggerimento provocato del suo sistema (partito virtuale, liquido etc), ma anche perché si è perduta anche la ragione dello stare insieme, da quando i programmi non sono punto di riferimento. Le Leadership non crescono sulla base dei rapporti con chi è interessato alla sostanza politica, non difende coerenze con la storia del pensiero politico o del movimento, al quale dichiara di appartenere. L’importante è vivere le giornate con l’impegno a disseminare “opinioni”, ma attenti, non idee ma chiacchiericcio momentaneo su una circostanza o sul fatto del giorno. D’altra parte è quello che avviene nei talk show televisivi, cioè un salotto su “temi mirati” senza approfondimento. Oggi la stessa espressione di appartenenza per giornalisti e politici, che si aggrovigliano nei confronti televisivi è del tutto mobile, senza certezze nel futuro, basta infiocchettare il chiacchiericcio giornaliero evitando verifiche sulle cose che vengono dette e senza correre il rischio della “smentita” della conoscenza. Anzi capacissimi di “pontificare” su argomenti dei quali conoscono a mala pena il titolo. L’esempio è dato, se prendiamo il coraggio di assistere a incredibili e superficiali dibattiti televisivi,  dall’accapigliarsi  sul Recovery, senza conoscerne contenuto, tempi di attuazione e procedure, magari come fanno molti , aggiungendo “pietose” considerazioni su un pianeta sconosciuto come il MES. D’altra parte come è possibile non avere un sospetto di fronte all’improvvisa scomparsa di ogni riferimento al MES, al suo salvifico uso, alla sua insopprimibile necessità di utilizzo, pena il “precipitare” della sanità italiana in un buco della disorganizzazione più totale, perché un minuto dopo le dichiarazioni al Parlamento del neo Presidente Draghi l’argomento non presenta più nessuna rilevanza. Quindi la confusione sugli argomenti , e mai chiarendo le motivazioni se non per “chiacchierare”, nasceva dalla necessità di alimentare  distanze ed odio con chi esprime altre opinioni sul tema. Ma la cosa grave è prodotta da chi opera nei Media,   che dovrebbe informare, ma non lo fanno anzi aiutano a disinformare, però si schiera è si assume il compito di alimentare le modalità di una comunicazione che, è immancabilmente accompagnata dalla esplosione dell’ego e della personalità del politico di turno.  L’azione politica di Renzi, su questi temi,  è un esempio di scuola. Non è che non ci siano stati tentativi a proporre la necessità di approfondire l’argomento, ma tutto si ferma sullo scoglio del disinteresse. Ad esempio non conquista nessuna attenzione chi denuncia una diseguaglianza che sta erigendo un proprio muro in questa fase della Pandemia. Una fase che è letteralmente divoratrice delle capacità di spesa, di reddito e di protezione sociale di milioni di persone, riducendole alla povertà, mentre alcuni stanno “lucrando” uno sproposito concentrando nelle proprie mani ricchezze enormi. Va da sé che si diventa tradizionalisti, o ci si esprime fuori dalla realtà, chiedendo, come fossimo in una realtà politica normale nella quale dovrebbe avere ospitalità una qualsiasi idea di redistribuzione, una forma di solidarietà nella distribuzione delle ricchezze , anche non chiamandola  Patrimoniale, per riequilibrare una pericolosa fase al rischio di declinazione in “profondi conflitti sociali”. Ma non è così, anzi non è una tema fondamentale perché è bene che le classi popolari non si rendano omogenei sui bisogni, ma tutti devono essere consapevoli che sono solo cittadini. Esiste una crisi? Discutiamo su cosa fare? C’è il tema povertà? Giusto ma sono argomenti  che la democrazia risolve solo con il voto. Da qui nasce la insopprimibile voglia, non di risolvere, ma di esprimere opinioni e di porsi al centro del dibattito, per un sano gusto del “chiacchiericcio”. Stiamo entrando nella sfera del fenomeno odierno. I sondaggisti illustrano con numeri, dati ed andamenti del gradimento delle leadership che mostrano una scarsa tenuta, anzi possiamo dire una accentuata volatilità.  Osserviamo come le stesse carriere politiche contemporanee sono soggette a volubilità e questo non avviene solo fra schieramenti, ma anche fra politici dello stesso schieramento. È il contorno che emerge, anzi il valore del “chiacchiericcio”  che punta, si dice allo stomaco della gente, facendo vivere al pubblico suggestioni  momentanee, e affermando promesse che non hanno importanza se verranno esaudite (rispettate) e, tanto meno, sono importanti se non hanno possibilità di essere realizzate, tanto la memoria è corta. Ecco perché, osservando i sondaggi dopo che Renzi, ha raggiunto l’obiettivo  nel provocare la crisi di governo, non hanno incidenza le accuse nei suoi confronti di scarsa serietà o di inaffidabilità, come appare chiaro nel suo comportamento, ma  esprime l’esempio di successo. Poi improvvisamente i dati di sondaggio sul gradimento del leader, del suo partito o delle sue idee non hanno più nessun valore, anzi. Quindi non contano i percorsi perché Matteo Renzi non solo si è adeguato a questo comune sentire, ma ne esprime la concretizzazione: è lui il prodotto. Siamo ai limiti della costituzione del modello, che si interpreta come un automa, dove l’obiettivo non è mai il tema, anzi rappresenta l’orpello, perché il centro è lui che propone continui “colpi di scena”.  Sennett direbbe che è inutile chiedersi se questo comportamento possa essere vissuto come  una negatività  rispetto alle esigenze del contesto politico ed economico. Immaginare che questo metodo nuoce alla tenuta democratica non è una forzatura anzi certifica la distanza tra la propaganda e il contesto fatto dalle preoccupazioni sull’occupazione accentuati dalla crisi della “lunga recessione” introdotta dal Covid. Tra l’altro una crisi particolarmente dura per le donne e per i giovani determinando una situazione che si proietta negativamente non solo in Italia, ma anche in Europa, dove  sta colpendo soprattutto i giovani e le donne,  in quei settori dove il lockdown, colpisce più duro, cioè servizi, commercio e turismo. Niente di paragonabile, come sappiamo noi abruzzesi, ad esempio con la crisi del 2008 che, colpendo la manifattura, infierì soprattutto sugli uomini. Quindi diventa interessante la lettura che il nostro sociologo americano di riferimento  ci dona degli  effetti della pandemia come acceleratore di  processi, già emergenti in precedenza, dove  processi negativi  si articolavano con qualcuno positivo. Aumentano le disuguaglianze, però su più fronti. Sennett indica la differenza tra i lavori manuali, che non possono essere svolti da casa, e quelli impiegatizi, una situazione che ha anche accelerato il modello fordista. Poi sul tema dello smartworking, c’è da notare che mentre il sociologo italiano De Masi si esprime con “un era ora anche per gli italiani”, la prof.ssa Saraceno la descrive come “una iattura in molto casi, soprattutto per chi aveva figli a casa, ma è stato anche un privilegio, a fronte di chi non poteva farlo e ha perso il lavoro, oppure, ha dovuto far fronte in un modo drammatico, e spesso impossibile, a problemi di conciliazione con i tempi di vita”. Inoltre, il lavoro a distanza è stata “un’opportunità con risvolti diversi tra uomini e donne”, visto che “il 51% dei padri – secondo uno studio – ha aumentato la presenza domestica e le cure della casa e della famiglia, ma l’altra metà non lo ha fatto”. Si pone poi la questione che “in molti casi, gli smart-workers tendono a lavorare di più rispetto agli standard tradizionali, con il rischio di sfociare in situazioni di sovraccarico di lavoro e, talvolta, in un vera  e propria condizione di stress, ponendo il tema della tutela della salute e del benessere di chi lavora da casa e delle politiche per promuovere l’occupazione di qualità per le donne e contrastare il gap di genere.   Ma questo dibattito non deve trascurare il fatto che nel concreto, nel dibattito, c’è anche il Prof. Mario Draghi a parlare del momento straordinario che attraversa l’economia mondiale, per l’effetto determinato dalla Pandemia, con un riferimento specifico sull’Europa e sull’Italia, dicendo la sua sul che fare contro, quella che diventa una lunga recessione. Una sorta di documento sul futuro delle imprese, illustrato con giornalisti e personalità internazionali con il nome di G30. Naturalmente in un momento diverso lontano da ipotesi e disegni futuri sulla sua  guida del Governo Italiano. Ma la parte interessante si è concentrata sull’analisi economica-finanziaria del mondo sopraffatto dalla pandemia. Le valutazioni a ampio raggio, hanno spaziato dal ruolo delle banche all’importanza del Recovery Fund, fino alla ricetta per attenuare il debito pubblico. Quindi una “visione” (termine molto in voga tra i giornalisti italiani quando coltivano la loro mancanza di argomenti), o ricetta per superare la lunga recessione prevista. Il cuore dell’analisi poggia sulla possibilità del Recovery Fund di sviluppare la sua azione per agire sul debito pubblico. Essendo le risorse del Next Generation EU una occasione unica e imperdibile per i Paesi europei alle prese con una crisi difficile, soprattutto in Italia dove il tema è ancora più sentito come urgente e fondamentale, considerando che a Roma arriveranno somme piuttosto ingenti da Bruxelles. Prima della assunzione dell’incarico a Presidente del Consiglio italiano le idee espresse, da Draghi, sono abbastanza esplicite. Sono utili interventi mirati, che presentano evidenze sul terreno del rendimento sociale, cioè istruzione, formazione e ricerca, ma anche nel cambiamento climatico, da escludere scelte legate alle convenienze politiche o clientelari. Concetti espressi pubblicamente, in larga parte condivisibili, però accompagnato, in concreto, dal nuovo manifesto del rilancio del “liberismo” in Europa. Nel G30. Draghi insieme ad altri scrive, nell’attuale contesto fino, ed oltre, la conclusione della Pandemia, dove le risorse in campo devono essere indirizzate, senza dimenticare di favorire l’operatività del sistema finanziario bancario da impegnare per il sostegno delle Imprese, ma facendo scelte sul ruolo dello Stato chiamato a tutelare l’impatto importante sulla sostenibilità del debito pubblico. Nella pura logica delle politiche dell’Austerità e dell’obiettivo di lotta all’indebitamento  si capisce quale è il suo legame con la crescita. Il tema del benessere delle persone, della loro condizione di vita, del superamento dei livelli retributivi sempre più bassi (soprattutto in Italia) non vengono nemmeno sfiorati, e comunque sono successivi al crescere dell’unico punto di riferimento che resta il PIL. Però ci sono delle questioni, che la Pandemia ha portato alla luce, ma determinate da politiche “gravose” di austerità volute dall’Europa e dai suoi gruppi dirigenti, tra i quali in massima evidenza il Professor Draghi con il suo alto ruolo nella BCE, che devono trovare soluzione. Stiamo parlando delle soluzioni da dare al rilancio della organizzazione sociale e sanitaria, istruzione e formazione, occupazione qualificata accompagnate da politiche salariali e di reddito adeguate che sono fondamentali, e quindi non sprecate se sostenute dalle risorse del Recovery Fund. Oggi il Prof. Draghi è Presidente del Consiglio a capo di un governo ampio, votato dai due rami del Parlamento italiano , chiamato a governare con il sostegno di un Patto politico, voluto dal Presidente della Repubblica Mattarella. Bene, però questo nuovo contesto politico richiede l’apertura di una riflessione “autonoma” in qualche modo alle alternativa alle suggestioni possibili del dibattito di sapore  Liberista proclamato dal G30. È necessario che le risorse in campo vengano utilizzate realizzando un  equilibrio tra politiche di sostegno alle imprese, ai processi di cambiamento green e di rinnovamento energetico, ma anche, è bene ribadirlo, alla condizioni di vita delle persone, nel presente e  nel futuro. Il sospetto che lo schema liberista, senza le opportune riflessioni sui limiti manifestatisi con le ricordate politiche, monetariste e di austerità, che hanno caratterizzato questi decenni che ci separano dalla fondazione dell’Europa, non prevalga di nuovo promuovendo una politica di crescita, attraverso le imprese e la strumentazione finanziaria, mentre l’esercito della nuova disoccupazione diventa la linfa vitale, per una economia organizzata per l’arricchimento di pochi. Se ancora non fosse chiaro, Draghi ha “proclamata” l’idea che più un Paese ha un debito alto, più l’impatto de Next Generation EU sarà grande su crescita e debito.  Cioè urge fare tutto affinché l’Europa utilizzi il Recovery Fund, come motore della ripresa di domani, per fare in modo che consumi e investimenti crescano in modo costante e grazie a progetti pubblici di valore. L’alternativa consiste, da parte della sinistra, nell’evitare che occupazione, salari e qualità della vita sono fattori che arrivano dopo (la sempre longeva fase del secondo tempo). La sinistra deve dire con chiarezza che molti sacrifici già si fanno, che di fronte alla crescita della povertà c’è chi arricchisce, e quindi deve essere corretta la distribuzione ineguale della ricchezza, evitando una progettazione nell’uso dei Fondi Europei che facilitano la privatizzazione dei  profitti e la socializzazione del debito, tutto assegnato allo Stato, cioè a noi. Evitare lo schema antico: debito pubblico socializzato, utili e ricchezza concentrata nelle mani di pochi. D’altra parte, è bene ripeterlo,  gli Istituti specializzati raccontano ancora una volta che la Pandemia ha continuato ad impoverire molti, ma ad arricchire pochi . Se nel suo Manifesto il gruppo G30 non ha negata nemmeno la necessità di approfondire il tema dello stato di salute del sistema bancario, così importante per il sostegno delle imprese in questo tempo di grande crisi di liquidità, ma ha anche avanzata un’ipotesi di un carico sulla collettività, che dovrebbe caricarsi,  dall’aumento dei crediti deteriorati da attendersi  da tutto il sistema bancario in gran parte del mondo. Allora il campanello di allarme deve trillare su quel che faranno  gli istituti di credito a finanziare economia e settore privato. Conosciamo, per esperienza, la tecnica consolidata quella di distribuire il debito fra tutti. Ed è questa  la ricetta, (i giornalisti italiani parlerebbero di  visione) che potrebbe essere utilizzata  per superare la prevedibile  lunga recessione. Una ricetta che se non ben governata potrebbe diventare indigesta, perché si limita a riconfermare, senza cambiare nulla, il contesto dal quale questa crisi, che è certamente sanitaria, fa anche emergere l’esistenza di due altre crisi di fondo. quella della leadership mondiale del capitalismo e quella della sostenibilità ecologica della crescita. Il liberismo mostra una crisi etica nella sua gestione del capitalismo e tutto questo si presta ad alcune considerazioni sulle attuali vicende politiche del nostro paese.  Oggi i socialisti italiani ed europei devono avere il coraggio di proporre cambiamenti all’idea di una crisi finanziaria, da superare durante il suo svolgimento, che ha però origini nell’economia reale e tornerà all’economia reale. Affrontare la natura della attuale crisi non può che riguardare il tema dell’equilibrio dei beni privati e beni sociali.  Lo squilibrio nella distribuzione delle risorse (tra redditi di lavoro e redditi di capitale: profitti e rendite). Il manifesto del gruppo del G30 ha data la sua opinione sul fatto e sulla utilità del ricorso in forma massiccia all’indebitamento per finanziare, soprattutto,  imprese, sistema finanziario e consumi privati.  Quindi un ricorso all’indebitamento endemico e sistematico. Lo slogan potrebbe essere : economia  rifondata sul debito. Ma il tema, del prossimo futuro, è l’indebitamento pubblico, sotto il controllo dello Stato, perché non è ipotizzabile sotto il controllo di nessuno. Anni di Austerità europea ci hanno abituato all’idea che il sistema finanziario e bancario, nei fatti, può subordinare la politica per assicurarsi un modo sicuro capace di  conciliare la crescita con la diseguaglianza. Il tema dato dall’idea di  correre il rischio che si ripeta,  è facile da intuire, soprattutto se le risorse vanno di nuovo a chi  ha dato un contributo decisivo alla finanziarizzazione della grande impresa. Gruppi del “soldo” sicuro con il sostegno dell’indebitamento dei popoli, cioè la massimizzazione del profitto nel più breve termine e senza rischi. Ecco perché a questa persistente pressione messa in piedi dai Media , dagli editori proprietari, si deve contrapporre il rigore delle forze democratiche della sinistra in grado di guardare  alla crisi economica con occhio vigile. La Riforma Fiscale, certo,  come invocato dal Presidente Draghi e dalla Comunità Economica Europea,  per abbassare le tasse e preservare la fiscalità progressiva, possibile a condizione di una lotta decisa contro la vergogna criminale dell’evasione fiscale e dei paradisi fiscali. Di conseguenza bisogna: * inserire fattori di rallentamento dei movimenti di capitale altamente speculativi;* reintrodurre politiche della occupazione qualificata dei redditi che proporzionino lavoro e produttività;* osservare proporzioni programmatiche nella dinamica rispettiva dei consumi pubblici e di quelli privati; * passare da una economia priva di limiti,  letteralmente sterminata e devastante, sul piano ecologico come su quello morale,  a una economia dell’equilibrio della convivenza e della cooperazione. Inoltre la nuova strada aperta dalla CEE offre percorsi innovativi,  basati  su due fondamentali proposte, a suo tempo avanzate da Jacques Delors, che riguardavano il rafforzamento del Bilancio comune; la emissione di titoli europei.l Più della volontà politica, è stata la Pandemia ha sconvolgere molto di più le mollezze e titubanze dei Governi degli Stati membri, che tra alti e bassi, nell’anno passato hanno dovuto decisamente inforcare il percorso indicato da queste due proposte di Delors. Infatti si è già avviato  un ruolo attivo dell’Unione Europea nella gestione della crisi, ma deve essere esercita la vigilanza affinché la finanza rientri entro la sfera dell’economia reale e che l’economia rientri nei grandi equilibri della convivenza sociale. Allora è utile che venga ripreso il concetto di Riccardo Lombardi, già richiamato all’inizio di questo testo,  che fece arrovellare il dibattito politico tra i socialisti europei ”. Si stabili che era ora di passare dall’utopia al concreto e che era giunta l’ora di realizzare una  “società diversa, più ricca perché diversamente ricca”. Ciò significa che la sinistra deve abbandonare definitivamente l’idea della esistenza di una sorta di “diarchia” tra l’affrontare subito i temi posti sul terreno strettamente economico per successivamente misurarsi su quello dei valori sociali. “Diversamente ricchi” ossia l’attualità dell’idea,  formulata nel 1967 da Riccardo Lombardi, vuol dire che è l’uomo con i suoi bisogni, con il suo ruolo e con  le sue esigenze, se la sinistra vuole avere un domani, ad essere al centro del progetto della Europa dei popoli che pone  al centro  la occupazione come questione principale per la persona umana portatrice di bisogni materiali , casa,  lavoro e salario dignitosi . Beni essenziali per la sopravvivenza ma anche di bisogni immateriali  come  salute, tempo libero, qualità della vita,  cultura,  indispensabile per la crescita, lo sviluppo personali: ogni individuo deve decidere della propria esistenza e della propria vita. Durante e non dopo la scelta degli elementi, produttivi e di finanza, in grado di ricostruire il PIL . Oggi alle prese con la costruzione del progetto di uso delle risorse del Recovery, non bisogna mai dimenticare il ruolo che impegna la sinistra alla realizzazione di  una democrazia economica ed industriale alla base di una società in cui ogni individuo può sviluppare liberamente la sua personalità. Ma per quei beni materiali universali, esiste la necessità di un nuovo clima nei luoghi di lavoro, una maggiore libertà sindacale e dunque politica, un maggiore potere, il metodo della concertazione, ossia il riconoscimento dei sindacati come “soggetti politici”, quindi aprire le porte ad una innovazione “diversamente ricca”. Fermo restando i valori classici, mai messi in discussione, quelli della Rivoluzione francese, libertà, uguaglianza, giustizia sociale, solidarietà, la ricerca ruota attorno ad alcune parole e al significato che debbono avere oggi per tentare di rispondere a questa fase di “recessione lunga” per contrastare e superare la devastante crisi finanziaria ed economica che sta minando alle fondamenta l’Unione Europea e l’euro e costruire le “società progressiste”. Si tratta di parole come benessere e qualità della vita riferiti ovviamente alle persone umane; progresso; crescita; sviluppo sostenibile. La Pandemia, ha messo in luce il limite estremo di politiche economiche legate all’austerità rimettendo in ballo una sfida epocale, che è culturale e politica. In Europa le opinioni pubbliche si contendono e si confrontano su due modelli di società: uno, in crisi evidente, quello creato dal neoliberismo e dal capitalismo finanziario che tutto ha regolato in termini di denaro, facile guadagno, di potere e carriera, di consumismo sfrenato e di individualismo esasperato; l’altro, invece, da progettare e definire che punta a mettere al centro la persona umana  con i suoi bisogni materiali ma anche immateriali, quindi la società come luogo delle insopprimibili relazioni umane, la cultura, la conoscenza, il sapere. In altre parole, la definizione di una nuova economia e di un nuovo modello di società che assumono, per la prima volta nella storia della sinistra, un aggettivo da sempre trascurato: umano. Azioni di politica economica che non prescindono da crescita e di sviluppo personali: ossia della formazione di una personalità individuale, perché ognuno potesse decidere della propria esistenza e della propria vita. Per fare ciò bisogna radicalmente cambiare il sistema e l’apparato produttivo. È bello riportare alla mente di molti quello che Riccardo Lombardi amava dire: cambiare i pezzi del motore senza bloccare il motore. Assicurare obbligatoriamente quei ‘beni materiali’ universali legati alla sopravvivenza: una casa, un lavoro e un salario dignitosi, la salute fisica e psichica ma al tempo stesso anche beni utili per la realizzazione di una propria personalità: l’istruzione, il tempo libero, la cultura, la qualità della vita. Se il liberismo potrà essere un possibile punto di riferimento della destra italiana, che per una sua parte importante dichiara di volere superare le suggestioni sovraniste, o populiste, come di coloro che non credono che a sinistra ci siano soluzioni per la crisi. Potrebbe essere una risposta in una fase di crisi totale, come si profila per il capitalismo, perché non è certa la soluzione data dalla sinistra, come in altri tempi si sarebbe pensato, ma a profittarne potrebbe essere una destra populista retrograda. Bisogna tenere conto che la povertà, la disoccupazione, il geniale uso della paura suscitata dagli immigrati ha innescata una miscela esplosiva. Allora dentro la democrazia italiana c’è il problema di ricostruire l’identità italiana, e non solo quella territoriale, ma anche alla rigenerazione della sua cultura politica, dove destra e sinistra giocano un confronto su valori e non per servizio ad altri, cioè ai padroni del vapore, che usciti dalle fabbriche e dai luoghi della produzione, intendono occupare i “salotti” dell’esercizio della pressione per la tutela degli interessi dei pochi, ma molto aggressivi. Il problema, allora, è fare la sinistra per darsi un orizzonte nell’Europa che si va realizzando, dove mettere valori, che sembravano obsoleti, ma mai come ora divenuti attuali che si chiamano: Solidarietà, lotta alla povertà, occupazione e salario qualificato dentro un sistema economico, sociale e produttivo rilanciato. In questa Europa rinnovata si apre una nuova prospettiva per la quale vale la pena battersi, mobilitando un esercito nuovo, democratico e strutturato. Quello che nel linguaggio della politica si chiama schieramento largo, democratico e pluralista. E deve essere fatto, oggi, in questo momento di crisi sanitaria e di emergenza economica senza accettare “supinamente” la ricetta altrui.