Sanità.

Un decennio di sanità. E’ tutto un taglio.

La spesa pubblica  le politiche del personale nella sanità nel Decennio 2008-2018 hanno visto un taglio già visibile con le difficoltà di cura e con le liste di attesa, ma il  coronavirus ha solo messo in chiaro l’emergenza esistente nella struttura sanitaria italiana, precipitata in una crisi strutturale  ben prima che iniziasse l’epidemia. Ma quando questa fase di Pandemia si sarà conclusa dovremo darci la grande opportunità di ripensare il nostro modello di sviluppo. Quello che dobbiamo affrontare per tutelare la nostra salute, ma anche le insorgenze ambientali e della organizzazione della vita e del lavoro, come ci chiede non solo  l’Europa, ma anche  il virus che ha imposto anche questa novità sul chi siamo, come siamo e cosa siamo. Naturalmente restando nella vita reale per mesi il nostro Servizio Sanitario Nazionale ha lottato con tutte le proprie forze per  assistere le tante persone colpite dal Covid-19. Una battaglia resa “eroica” perché condotta dentro una organizzazione indebolita digiuna di pratiche di prevenzione, destrutturata sul territorio  e per niente attrezzata nelle strutture ospedaliere per fronteggiare un fenomeno pandemico ancora sconosciuto.  Ma  negli ultimi decenni  il Ssn è stato oggetto di tagli alla spesa e mancati investimenti che i nostri diversi governi nazionali hanno giustificato con la necessità di mantenere i bilanci in equilibrio, ridurre gli sprechi ed eliminare le inefficienze. Durante  questi anni, in ossequio alle necessità dovute dalla pressione sia della crescita del deficit pubblico che degli equilibri europei l’Italia ha pensato di trovare le soluzioni riducendo drasticamente le assunzioni del personale e  il numero di posti letto, senza offrire soluzioni alternative in termini di medicina territoriale e generale, di strutture residenziali extraospedaliere nonostante il fabbisogno di assistenza medica fosse già aumentato per via dell’invecchiamento demografico. Nel nostro paese è accaduto che il governo Berlusconi insediatosi nel 2008 si è divorato, in un solo anno dal 2010 al 2011, 2.400.000 (migliaia di euro) raggiungendo il punto più basso della spesa sanitaria nell’ultimo decennio. La diminuita erogazione di risorse a favore del costo del personale  a livello nazionale ha riguardato anche l’Abruzzo. I dati della Ragioneria Generale dello Stato,  raccontano che  il personale dipendente a tempo indeterminato del Servizio Sanitario Nazionale è passato dai 690 mila del 2008 ai 647 mila del 2017, con una riduzione complessiva di 43 mila unità, mentre cresce il personale precario. La precarizzazione del rapporto di lavoro, secondo i dati forniti del ministero della Salute, ha seguito il processo di riduzione dei posti letto, complessivamente disponibili nelle strutture pubbliche, che sono diminuiti dai 187 mila del 2010 ai 157 mila del 2018, con una riduzione di quasi 30 mila posti, pari al 15,9%. Se dobbiamo rimarcare che la restrizione di posti letto  pubblici e privati, hanno avuto diverso peso e diverse percentuali, non possiamo non annotare che anche nella sanità privata cresce il calo nella qualità della erogazione dei servizi alla collettività. Nessuno deve dimenticare che da oltre 14  anni non si riesce a rinnovare il contratto di lavoro nella sanità privata.  Le organizzazioni datoriali  della sanità privata non prevedono aumenti salariali nel rinnovo di un contratto collettivo scaduto dal 2007. Ma tutto questo deve risvegliare un nuovo interesse così come nella emergenza vissuta, l’avere scoperto  l’assenza di una produzione italiana dei dispositivi tecnologici per le terapie intensive, per la protezione individuale (dpi),  mascherine, e non solo. Questi sono gli effetti su di un Paese che, da un lato, non ha nessuna programmazione pubblica di lungo periodo capace di anticipare le esigenze di una società in transizione demografica e che, dall’altro, lascia emigrare circa 1.500 giovani medici specializzati all’anno, oltre a tanti altri infermieri e ricercatori, in cerca di migliori condizioni lavorative e salari più alti. Un’emorragia di capitale umano per l’Italia, che ha sostenuto i costi della loro formazione, e di cui si beneficiano i Paesi pronti ad assumerli. Questa emergenza ha permesso di fare una radiografia anche al regionalismo all’italiana. Un sistema disordinato e confuso, frutto della riforma costituzionale del 2001, che ha regionalizzato la sanità e ampliato le disuguaglianze territoriali. Chiedevano a gran voce maggiore autonomia, paradossalmente  hanno invocato l’aiuto dello Stato per evitare il collasso dei loro sistemi sanitari.

In allegato:  Il documento con tabelle sull’Andamento Nazionale e regionale del Personale del SSN