Autonomia Differenziata

Una insidia per il nuovo esecutivo abruzzese:regionalismo differenziato

Si chiama regionalismo differenziato, si legge sistema sanitario fatto a pezzi

Un poco alla volta, con infinita discrezione, l’interessatissima Lega, troppo intenta nella sua eterna
 Campagna elettorale, evita di introdurre nel dibattito politico gli elementi di trasparenza, conoscenza 
e conseguenze del regionalismo differenziato Eppure nelle stanza della politica circola una discussione
 su questo tema richiamata da una norma costituzionale (inserita nell’articolo 116, con riferimenti 
precisi agli altri articoli 117, 119, della Costituzione).
Una norma inserita dalla cosiddetta riforma del Titolo V del 2001, ma facente riferimento ed espandendo e
 precisando ad esempio l’articolo 5 della 
Costituzione.
È bene citare per tutti, anche per coinvolgerci con consapevolezza l’Articolo 116 comma 3: “Ulteriori forme 
e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le 
materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione 
della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa 
della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119.
 La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo 
Stato e la Regione interessata.” Ritornando con la mente alla fine del 2017, cui possiamo ricordare che 
con referendum consultivi, Veneto e Lombardia hanno avviato la procedura di richiesta di autonomia su 
23 materie: offerta formativa scolastica, contributi alle scuole private, fondi per l’edilizia scolastica, diritto 
allo studio e la formazione universitari, cassa integrazione guadagni, programmazione dei flussi migratori,
 previdenza complementare, contratti con il personale sanitario, fondi per il sostegno alle imprese, 
Soprintendenze, valutazioni sugli impianti con impatto sul territorio, concessioni per l’idroelettrico e l
o stoccaggio del gas, autorizzazioni per elettrodotti, gasdotti e oleodotti, protezione civile, Vigili del Fuoco, 
strade, autostrade, porti e aeroporti, partecipazione alle decisioni relative agli atti normativi comunitari, 
promozione all’estero, Istat, Corecom al posto dell’Agcom,professioni non ordinistiche. 
L’elenco non è del tutto completo, mancando alcune materie perché differenziate nelle diverse richieste delle regioni interessate. La prima considerazione ci può essere suggerita dal rischio proveniente dalla espropriazione della competenza statale tutti i grandi servizi pubblici nazionali. Dunque ci si propone il venire meno di qualsiasi possibile  programmazione infrastrutturale in tutto il Paese.Un altro tema è la ulteriore differenziazione che intende introdurre il Veneto che propone di calcolare i fabbisogni standard tenendo conto non solo dei bisogni specifici della popolazione e dei territori (ad esempio il numero di bambini da istruire, dei disabili da assistere, del numero delle frane da tenere sotto controllo e mettere in sicurezza, eccetera),  ma anche del gettito fiscale, cioè della ricchezza dei cittadini. Una richiesta che lacera il principio della eguaglianza tra i cittadini italiani  una richiesta che non ha solo contenuti EVERSIVI, ma introduce un parallelo con lo sconcertante slogan sui migranti: prima i veneti. L’idea è questa: i diritti (vedi istruzione, protezione civile, ed, osservate osservate, tutela della salute) saranno beni di cui le Regioni potranno disporre a seconda del reddito dei loro residenti. In materia di salute, atteso che i vari governi alternatisi alla guida del paese (Governo tecnico, cs e cd) non sono mai riusciti definire i Livelli Essenziali delle Prestazioni sociali e civili, i cosiddetti LEP, in grado di  garantire tutti i cittadini italiani, secondo Costituzione, si vuole scappare per la tangente. Non è necessario essere dei geni dichiarare, che senza sapere quanto costano i già citati LEP, chi, come e quando può stabilire l’entità delle risorse da assegnare alle regioni per garantirne il godimento ai cittadini, nel rispetto della Costituzione?Non è sufficiente dire, da parte degli addetti, dal profondo di silenti salotti e studi, che la discussione è stata democratica  ed è finora avvenuta tra governo e Regioni.Ho sentito, sui media televisivi,  il Ministro agli Affari Regionali affermare che si stanno portando in giro discussioni che non hanno attinenza con le intenzioni reali. Bene. Anche perché siccome non si sta decidendo solo per il Veneto, la Lombardia o l’Emilia-Romagna, ma per tutti noi, ne vogliamo sapere molto di più. Anzi perché non partecipano tutte le regioni alla stesura degli accordi, visto che si parla in esplicito di distribuzione del gettito fiscale.? Non siamo, bisogna dirlo in chiaro, rassicurati dal fatto che il 28 febbraio 2018, il governo Gentiloni ha già siglato un pre-accordo con le tre regioni, Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, che avevano avanzato richieste di regionalismo differenziato e di autonomia su determinate materie. I temi(23 materie) di questo pre-accordo sono quelle già citate, con l’unica differenza che l’Emilia-Romagna la chiede su un numero diverso (15 materie). Mentre il quadro politico si è,come noto modificato, oggi c’è un governo a trazione leghista, mentre  formalmente il presidente della regione Veneto, un veneto, leghista, Zaia, si è incontrato con il ministro degli Affari Regionali, una veneta, leghista, Stefani, per discutere della richiesta del Veneto, che riguarda ovviamente il solo Veneto. A questa data (giorno 14 Febbraio sto scrivendo) nella giornata del 15 Febbraio è prevista l’approvazione in Consiglio dei ministri di questa intesa tra un veneto e una veneta, ma anche di analoghe richieste, come dicevo, di Lombardia (presidente leghista) ed Emilia-Romagna(presidente Pd). Tenendo conto che il pluri-ministro Salvini ebbe a dichiarare che, cito tra virgolette  “Per me è già approvata”, quando, a ottobre scorso, si pose la questione, e si organizzava la tempistica, “le richieste saranno rapidamente approvate dal CdM e finalmente, arriveranno in Parlamento”. Tutto democratico, tutto trasparente, penserete, ma ci hanno proprio preso per ignoranti. Questo pensa il Ministro Leghista Stefani che omette di aggiungere che il  Parlamento, non potrà cambiare di una virgola l’intesa approvata, ma solo respingerla o approvarla esattamente come verrà presentata. Qualsiasi modifica o addirittura abrogazione dovrebbe essere approvata dalla Regione interessata che però questa volta dovrebbe prestare il proprio consenso per  rinunciare alle nuove competenze e “benefici”, per cui è facilmente ipotizzabile che tale consenso non ci sarà. Secondo alcuni costituzionalisti (meglio richiamarli su una materia che non conosco a fondo) non sarebbe possibile neanche un referendum abrogativo, anzi ci vuole una riforma costituzionale; mentre secondo alcuni studi (Adriano Giannola, presidente della SviMez, ad esempio) afferma che neanche una riforma della Costituzione sarebbe sufficiente, in quanto la stessa revisione costituzionale non potrebbe incidere sull’assetto dei poteri anteriormente stabilito dalla legge di differenziazione.Insomma, un pericoloso ginepraio.Quindi Veneto e Lombardia chiedono più autonomia, più potere di decisione, più soldi, l’Emilia-Romagna chiede solo autonomia di decisione.Il principio per cui lo Stato non dovrà limitarsi a trasferirealle regioni la cosiddetta spesa storica, cioè la somma che attualmente spende per soddisfare le medesime funzioni, è stato chiaramente affermato anche dal governo, in sede di stipula dei tre accordi preliminari del 28 febbraio 2018. Anzi secondo l’articolo 4 di tali accordi, il criterio della spesa storica dovrà essere superato entro cinque anni, perché a regime il trasferimento delle risorse dovrà essere definito in base ai «fabbisogni standard» calcolati non solo «in relazione alla popolazione residente», ma anche con riferimento al «gettito dei tributi maturati sul territorio».Dunque è esattamente quello che le Regioni, stanno chiedendo di trattenere una cospicua quota del cosiddetto residuo fiscale. Il residuo fiscale “regionale” una stima calcolata sottraendo dal gettito fiscale complessivo generato dai contribuenti residenti nella regione, la spesa pubblica complessiva in quella stessa regione. Una botta mortale all’articolo 53 della Costituzione che come ci ricorda strenuamente 
Bersani si vuole colpire il “patto fiscale” stipulato tra lo Stato e i cittadini,  fondato sulla nozione di 
«progressività» e di «capacità contributiva» del cittadino proprio per consentire le politiche dell’uguaglianza 
e permettere allo Stato di adempiere ai suoi compiti redistributivi.  
Il già citato Adriano Giannola ci ha già fatto riflettere sulla circostanza che «i calcoli di dare/avere in termini 
di imposte e spesa pubblica hanno senso solo se riferiti a singoli individui» in quanto «i territori non 
pagano imposte». 
Sintetizzando, chiedendo scusa a chi ha già lette le considerazioni del citato Giannola, questa improvvida
 introduzione di un principio di territorialità delle aliquote, declinato su base regionale, contrasta 
con l’impostazione dell’articolo 53, con effetti dirompenti sull’unità dell’ordinamento. Concludendo, e non 
bisogna essere degli acuti economisti. Il criterio del residuo fiscale regionale, presuppone che la spesa
 pubblica dovrebbe aumentare, di molto, in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, e diminuire di molto 
in TUTTO il Mezzogiorno. Alla faccia del pronunciato neo meridionalismo del Governo del Cambiamento,
 e della conversione sudista dell’onnisciente Salvini si accentuerebbe il gap socia ed economico tra Nord 
e Sud. Aggiungo che dal punto di vista economico ci troviamo di fronte ad una autentica sciocchezza. 
Infatti oggi molti beni e servizi prodotti nel Nord vengono utilizzati al Sud. Con minore capacità di acquisto
 al Sud, possiamo dire così, l’economia danneggiata, alla lunga,sarebbe quella del Nord. Una spesa nel
 Mezzogiorno ha un effetto traino, generando acquisti dal Nord; una maggiore spesa nelle regioni più ricche 
ha effetto solo in quelle regioni, non si trasmette al resto del Paese. Una bufala leghista, tanto amata dai
 nuovi conquistatori del Mezzogiorno ( vedi lo shopping di voti già fatto in Abruzzo) che sostengono che il 
regionalismo differenziato farebbe economicamente bene a tutto il Paese. 
Inutile insistere sull’ovvio e, cioè che la crescita economica del mezzogiorno, e quindi di tutto il paese,
 si concretizza in un contesto più ampio, in una comunità più ampia, caratterizzata da un’armonica crescita 
dei territori circostanti e delle altre regioni. Torneremo sull’argomento, ma non possiamo evitare di manacre 
di citare il professor Gianfranco Viesti, che qualche mese fa ha lanciato una raccolta di firme per una 
petizione contro la secessione dei ricchi.Hanno già aderito tanti intellettuali, economisti, giuristi, da 
Massimo Villone, ad Adriano Giannola ad Alberto Lucarelli. Mentre l’appello ideato da Eugenio Mazzarella,
 e rilanciato da Giuliano Laccetti sotto forma di petizione pubblica, sta raccogliendo molte e  qualificate
 adesioni nel campo delle professioni, dei saperi, dell’università, della scuola, della ricerca. Organizziamoci, 
non diamo per persa una battaglia di civiltà e di difesa dei diritti costituzionali.