Economia, produzione e lavoroEditoriale

La Cgil rompe gli indugi sulla sinistra che serve. Ma non propone nuovi partiti.

Il giorno che la CGIL sceglie di rompere gli indugi, per aprire una discussione pubblica  sui temi del disagio delle persone, del salario e  dei diritti del mondo del lavoro, facendolo giusto in tempo  in questa fase di grave tensione inflazionistica, si alzano le voci dei soliti scettici. Uno scetticismo che appartiene alle più nobili tradizioni della sinistra politica italiana. Lo stesso Togliatti, raccontano gli storici, era fortemente contrario all’idea di una CGIL impegnata sulle politiche generali e sulle riforme, dovendosi occupare, a suo parere di salari e retribuzioni. Al contrario la Cgil, in maniera sbrigativa, accorcia i tempi, e non solo non chiama i suoi partner sindacali, non ritenendolo necessario per raggiungere l’obiettivo politico che si pone, lasciando intendere che vuole fare emergere una  nuova linea. Quella  inaugurata da Maurizio Landini, a Piazza San Giovanni che si è anche preoccupato di dire, accarezzando così  gli eventuali  “critici” e i nostalgici del sindacalismo unitario, che non c’è alcun atteggiamento polemico nei confronti delle altre confederazioni, perché l’obiettivo è un altro. Tutti abbiamo sentito, quando sono state esposte le rivendicazioni della Cgil, che su molti aspetti esiste un ampio accordo con Cisl e Uil. Ed allora a quale obiettivo è stata dedicata la giornata, o meglio, forse si pensa a qualcosa di nuovo forse l’idea di un sindacato che supera gli angusti confini dell’Autonomia sindacale, dai partiti, dal governo, ma anche dalla opposizione. Ma non è stato neanche questo, vorrei dire ai tanti critici, magari tirando loro le orecchie, per richiamarne l’attenzione sul significato dell’iniziativa che si è aperta  con “Il lavoro interroga”. Comunicandoci che era ormai doveroso interrogarsi, su cose concrete, e che non ci si stava aprendo una discussione su un nuovo soggetto politico, ma quella sulle responsabilità che hanno portato al divorzio tra il mondo rappresentato dalla Cgil, a partire dal mondo del lavoro, e politica. La Cgil ha chiamato, quindi, al confronto un mondo politico, già esistente, forse ne ha chiamati troppi, ma con il desiderio di domandare ai molti interlocutori,  se essi vogliono “tornare” ad essere protagonista di un cambiamento epocale delle relazioni sociali e delle condizioni di vita di milioni di persone. Dall’ambiente e dalla transizione energetica al mondo del lavoro, dall’esercizio dei diritti alle relazioni tra il lavoro e le Istituzioni, per proporre una via di “riformismo radicale” al sistema politico chiamato a confrontarsi. Un riformismo radicale, abbiamo detto, che mette in piedi dal punto di vista progettuale, la necessità della presenza di uno schieramento politico, che guardi alla transizione ambientale ed energetica, al lavoro e produttività del sistema paese, dentro la coniugazione della lotta alla povertà con gli strumenti utili a parare colpi verso la spinta inflazionista. Tutto e possibile, ma la cura oggi  delle contraddizioni emerse nel mercato del lavoro, hanno bisogno di una sorta di consolidamento e ampliamento delle tutele attraverso lo strumento della legge (il salario minimo, l’estensione erga omnes dei contratti, gli sconti fiscali, l’abolizione di ogni tipologia di flessibilità in nome della lotta ad una precarietà che diviene estesa.), ma tutto anche legato ad un progetto politico economico che guardi, certamente alla necessità di domare l’inflazione, insieme alle radici di una storia che rende  questo paese ostaggio della bassa produttività. Ancora una volta lavoro, impresa ed Istituzioni devono rincontrarsi, come avvenuto in tempi storici, ma anche in periodi allontanati dalla cattiva memoria. Mi riferisco alla persistente cattiva lettura fatta dei diversi accordi sindacati governo, compreso quello che portò al Decreto di San Valentino, da sempre strumento di lotta efficace contro una inflazione “galoppante” che impoveriva i lavoratori, i pensionati e buttava le persone in cattive condizioni economiche. Oggi il ragionamento è una altro. Non c’è un salario che cresce con i prezzi: la famosa spirale, ma un sistema “malato” che ha bisogno di cure forti. Allora urge una maggiore attenzione sui temi maggiormente trascurati da questo governo, ed occorre:

  1. Riformare il sistema in atto del Mercato del lavoro . Un obiettivo politico prioritario per un paese povero di materie prime, dove è proprio il lavoro la ricchezza centrale a disposizione. Urge la ridefinizione di Istruzione, di formazione e di politiche per riagguantare l’oro fuggito all’estero, cioè migliaia di giovani, diplomati e laureati, preparati a nostre spese, ma messi a disposizione di altri;
  2. Porre fine alla contraddizione contenuta nella misura del RdC che ha prodotto un ritardo nel rafforzamento dei Centri per l’impiego, per evitare: 1)  il fallimento  della “fase 2” del Reddito; 2) il rinvio della concretizzazione  delle riforme del mercato del lavoro previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), a iniziare dal programma Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori (Gol).;
  3. Produrre una riforma profonda della burocrazia e degli apparati, pubblici e privati, per rendere il nostro paese aperto alla crescita della produttività del sistema pubblico e privato;
  4. Uno sguardo più attento all’indebitamento in corso, a partire da quelle che verranno create dalle risorse PNRR, che realizzano un debito per i contribuenti, mentre si esplicitano super guadagni e super dividendi, grazie all’attenzione , oggi evidente con il governo Draghi, alle fortune dei gruppi finanziari e delle Banche;
  5. Scongiurare il “tentativo di truffa” in corso, con l’accelerazione del governo della Autonomia Differenziata con il solo beneplacito delle Regioni del Nord, e sollevvare la questione dell’uso “irrispettoso” delle risorse del PNRR e senza chiarire come “riequilibrare” la distorsione della spesa pubblica a favore del Nord dei servizi, della occupazione e delle infrastrutture.

Tutti temi questi che richiedono un esame del proprio operato, da parte della sinistra, ma anche alla CGIL, ognuno per il suo pezzo, ma con separazione netta dei ruoli. La storia dei sindacati è ricca di tante cose, anche quelle meno gradevoli ne fanno parte, ma una cosa è certa che se non sono state efficaci le cinghie di trasmissioni, (infatti nessuno pensi di rifarle in qualsiasi direzione), è giunta l’ora di esplicitare pensieri e progetti sui quali, oltre a chiamare il sistema politico, bisogna lanciare un grande idea di Democrazia Partecipativa (termine desueto nella sinistra italiana) chiedendo a tutto il Popolo della CGIL di reagire alla deriva liberista compresa quella che rode dentro la sinistra politica..