Economia, produzione e lavoroEditoriale

Per gli economisti l’Abruzzo é in forte tenuta socio-economica. Ma nascondono il tracollo.

Sono tante le persone e le Imprese, in Abruzzo, in  seria difficoltà. La guerra, il caro energia, l’inflazione e la disoccupazione,  come possiamo già affermare in attesa dei dati ufficiali Istat. Lo facciamo guardando i primi dati, ma anche intervistando le persone”, catapultate in una condizione del lavoro nella nostra regione, già allarmante per le considerazioni sui numeri e per la qualità. In concreto se il picco congiunturale dell’occupazione in Abruzzo si collocava, facendo riferimento all’anno 2019 ( precovid), all’altezza di 485mila occupati, oggi e per due rilevazioni di fila su II° Trimestre 2021 e 2022 (Istat-Luglio) gli occupati dipendenti e indipendenti sono 477mila. Un cifra, quest’ultima, la stessa nei due trimestri, dalla quale non ci scostiamo, e  non valichiamo, in attesa di un inevitabile peggioramento. Infatti, per inciso, dobbiamo purtroppo pronosticare un ulteriore calo legato alla crisi energetica e alle difficoltà produttive e di consumo che l’aumento inflattivo provoca. Gli economisti della domenica, quanto si esercitano nelle loro “scarsamente” lungimiranti analisi, in perfetta sintonia con il contesto Liberal-Draghiano al contrario ci raccontano, sulle pagine di una informazione “compiacente”  che i numeri di occupati evidenziati nel II °Trimestre   sono in “stasi” solo in virtù dell’andamento stagnante delle costruzioni (meno 2,9% ) dopo l’effetto espansivo, rispetto all’anno 2020, che portò ad un recupero di PIL in Italia, con la espressione di una crescita superiore a quella dei paesi della Europa. Lungi dal raccontarne il perché o il ruolo avuto dal super bonus del 110% (per inciso Governo Conte), o il motivo della stasi successiva verificatasi in virtù della poco lungimirante azione del governo dei “migliori”, dediti a bloccarne la spinta positiva per la economia italiana. E purtroppo quel meno 2,9% in Abruzzo incide con forza maggiore anche rispetto alle altre aree del nostro paese. Ma in questo “pullulare” di assenza del dibattito, con al centro ovviamente, l’auto-riconoscimento della forza dell’azione della “immobile” giunta regionale di destra abruzzese, a tutti sfugge che lo stato numero totale degli occupati deve essere accompagnata da valutazioni sul tasso di occupazione. D’altra parte è lecito chiedere ad una autorità regionale, leggessi Giunta Regionale, che cosa intende fare rispetto al calo della popolazione in età da lavoro. Nell’ultimo mese disponibile (Istat luglio 2022) il tasso di occupazione abruzzese al 58%, un punto in più rispetto all’anno precedente, anche ben 5 punti sotto la media nazionale con il 60,3%. Il nostro dato ad essere di circa 2  punti inferiore rispetto alla media nazionale, con occupati però che fanno riferimento ad una popolazione in età da lavoro che è fortemente calata. Mettiamola pure diversamente, anche perché non fece grande scalpore la notizia che nel Bilancio Demografico dell’Abruzzo in sette anni , cioè dal 2013 al 2020 , redatto dal nostro ricercatore Dott. Aldo Ronci, si evidenziava una perdita di  48.906 abitanti. Scomparsa una intera città capoluogo come Chieti, ma tutto si è perso nei fumi della camomilla di un inesistente dibattito politico abruzzese. Una decrescita pari al 3,68%, un’intensità doppia rispetto a quella italiana che è stata dell’1,84%, che è stata accompagnata dalla emigrazione di  26.567  giovani,  due volte e mezzo di più della media italiana. Una forte perdita di giovani che sono uno svantaggio culturale congiunta alla definizione di un insediamento di una popolazione meno attiva e meno produttiva. Intanto bisogna prendere atto che nell’anno 2021, rispetto all’anno 2020, il numero di residenti è ulteriormente diminuito  di 12.919 unità. Se li confrontiamo gli occupati sono un numero statico, mentre la popolazione in età da lavoro è calato, infatti indice demografico alla mano possiamo dire, che nell’ultimo triennio si può evidenziare, nella fascia da lavoro dai 14 ai 64anni, una caduta di oltre 30mila residenti,  e quindi il tasso di occupazione non è confrontabile , negli anni, perché il 58 % di oggi è relativamente più basso rispetto agli anni passati. Questa è la realtà di cui preoccuparsi, non solo perché l’occupazione cresce troppo poco, ma perché anche il calo demografico di questa regione ci dona un segnale evidente del suo declino.  Inoltre il dato sulla occupazione riguardante  il 2022, è caratterizzato in modo preponderante dalla precarietà del lavoro. Se nel nostro paese nel 2008 a fronte di 23 milioni di occupati erano circa 2,4 milioni i tempi determinati, oggi sempre con un numero simile di occupati, i precari sono 3,2 milioni. L’Abruzzo resta sempre in questa narrativa e la fa da “padrona per il suo record di lavoratori precari, raggiunto, come le serie storiche dimostrano, perché queste persone vengono ideologicamente utilizzate come “locomotiva” durante le fasi di crescita e come “carrozza del treno da sganciare” facilmente durante le fasi di difficoltà. Si è ripetuto un fenomeno tipico del comportamento della imprenditoria italiana, ed abruzzese ancora di più. È avvenuto durante la crisi del 2009, ripetuto nel  2014, amplificato con determinazione in modo enorme nel 2020 durante la pandemia. Ma a partire dai dati di crescita del 2022, non è stata coerente l’azione del governo Draghi, da questo punto di vista, con i suoi “cincischiamenti” sul moderno, e proposto dall’Europa, salario minimo. Ce lo dice l’Europa  esiste solo quando bisogna fare sacrifici, mentre se dobbiamo, assumendo la Fonte OCSE,  cambiare l’andamento de ” I Salari in Europa  Variazione % tra la media degli stipendi del  1990 e quelli del 2020” non ci accorgiamo che esiste anche un enorme problema di non lavoro e di qualità del lavoro.  Questa situazione richiedeva interventi urgenti,  già nel 2021, rispetto alla crescita del PIL, ma si ripeteva con un  PIL giunto ad una crescita +3,4% già nel primo semestre del 2022. Una situazione produttiva che  permetteva di mettere a terra una delle “dotte” disquisizioni del liberista Draghi, che ha sempre sostenuto che “di fronte ad una crescita per il nostro paese, è possibile dare risposta di riequilibrio retributivo,  a chi ha più sofferto la crisi”. Tutto ciò non è avvenuto ed ha lasciato, anche nella nostra regione, il frutto velenoso di una disoccupazione più alta di quanto non appaia dai numeri del tasso di disoccupazione ufficiale, così come la raccontano gli economisti della domenica. Illustrano una tenuta economica ed occupazionale, in una regione dove esistono alti numeri di soggetti assenti dal lavoro per motivi vari (CIG o mancanza di lavoro/ridotta attività, di lavoratori iscritti all’INPS, per poche o, addirittura, per una sola giornata. Nessuno fa i conti, con i dati OCSE sui salari e stipendi dei lavoratori, e della differenza delle retribuzioni tra i nostri giovani con quelli europei. Solo la Grecia, in questo caso mantiene la maglia “nera”. Perché anche fra chi lavora con maggiore stabilità, avanza l’area del  disagio che, progressivamente, alimenta il bacino del lavoro “straccione”,  legata all’aumento al tempo determinato involontario ed ai conseguenti vuoti di attività; al part-time involontario, agli occupati sospesi, vale a dire gli assenti dal lavoro per un periodo pari o inferiore a tre mesi perché in CIG o per mancanza di lavoro/ridotta attività. Un dato altissimo che testimonia come la situazione del lavoro in Abruzzo sia molto difficile e in via di ulteriore deterioramento da cui partire sia per le proposte, ma soprattutto, per iniziative concrete volte a modificare questa negativa situazione attuale fatta di: troppa precarietà, troppo lavoro povero, troppe barriere per la ricerca di occupazione a chi vorrebbe lavorare. Altro che tenuta del sistema economico, o misure che hanno avuto un impatto positivo sulla economia abruzzese. Gli economisti, gli osservatori, le Associazioni delle Imprese e dei lavoratori dovrebbero essere più seri e dotarsi di accurati  strumenti di informazioni. L’Abruzzo ha bisogno di rispetto ed attenzione, perché merita un’azione politica per l’arresto del suo “declino”.