Autonomia DifferenziataEditoriale

Raccolta di appunti e considerazioni sull’Autonomia Differenziata (AD)

Il DDL approvato dal governo, su proposta del Ministro Calderoli, esplicita le  23 materie, indicate nella Tabella che segue, sulle quali le Regioni possono chiedere le attribuzioni.

Considerazione personale: “Nella vicenda Italiana l’assassino politico torna sempre sul luogo del delitto”

Per entrare in argomento una utile premessa.

Premessa- L’intento è quello di raccogliere appunti, documenti, materiali, illustrazioni ed analisi su questa ulteriore incursione della politica sui temi dei poteri e delle relazioni tra Stato e Regioni. Il fine è quello di spulciare gli elementi di “conoscenza” su una materia che è oggettivamente esplosiva, anche per la unitarietà del paese. Un esempio della esistenza di relazioni “demenziali”, tra Stato e Regioni, e dalle quali non siamo ancora usciti “indenni”, per i guasti provocati, ci è stata data dalla gestione della “Pandemia”. Abbiamo scoperto che i rapporti tra Governo, Regioni e sistema ASL sono argomento trattati da una normativa confusa che “travalica” sia la legge di riferimento che della regolazione dei ruoli operativi ed istituzionali. Il “rabbonirsi” della Pandemia non ha ancora fatti i conti con la emergenza affrontata, a mani nude dal personale sanitario, ancora sottoposto ai limiti del Sistema Sanitario Nazionale (SSN).Per inciso siamo ancora alle prese con indagini, ed attese di rinvio a giudizio, in corso sulla “gestione” della Pandemia e su chi doveva fare cosa. Sintomo che il “calvario” della rincorsa al raggiungimento di un efficace, e nuovo, equilibrio del sistema è ancora una chimera. Ma la fantasia “al potere” tenta un colpo di spugna e cancella tutto l’accaduto. Il governo approva il DDL sulla AD ed apre le danze, “glissando” sugli errori compiuti durante la Pandemia, in materia di attribuzioni delle responsabilità in una delle materie in discussione, la sanità, e rinviando il chiarimento sulle inadempienze, che hanno provocato uno spostamento abnorme di risorse dal Meridione al Nord. Soprattutto nella sanità. Chi sa perché non sorprende nessuno la “riproposizione” del meccanismo delle disposizione “transitorie”, in materia di LEP (Livelle Essenziali di Prestazione, riaffacciando l’ideona della Spesa Storica, cioè la fotocopia dello “scippo” di risorse dal Meridione verso il Nord. Il governo evita di chiarire,  anzi,  come se non fosse successo nulla supera ogni indugio e ci regala una confezione “propaganda”  che si traduce in Spacca Italia”. Un ricamo in più rispetto alla vecchia teoria dell’Indipendenza.    Aggiornandoci, con questa nota di accompagnamento, possiamo verificare che la storia dei “poteri e della distribuzione del Fisco”, riprende vigore il  2 febbraio 2023. Il Consiglio dei Ministri approva il DDL sulla cosiddetta “autonomia differenziata”, dando così il via all’iter per la sua approvazione. Tutti si affrettano a dire che i tempi di approvazione non saranno brevi. Infatti il provvedimento deve andare: prima in Conferenza delle Regioni per un parere: eventualmente, ritornare in CdM; successivamente, approdare in Parlamento. Questa è una tematica di cruciale importanza per il nostro Paese visto che riguarda il riassetto delle responsabilità su tutte le principali politiche economiche e sociali. Suggerisco, infine, una riflessione collettiva.  Sarebbe opportuno cominciare ad invitare tutte le forze politiche, a partire da quelle di maggioranza, che su queste materie, a riflettere sull’idea che il Parlamento, possa “limitarsi” ad esprimere un semplice parere, anche se il proponente, Ministro Calderoli, lascia intendere che è questa la “sua” interpretazione.

DI SEGUITO I TITOLI DEI DOCUMENTI ED APPUNTI  DA SCARICARE TRAMITE I COLLEGAMENTI:

Introduzione al tema : Autonomia Differenziata.

Rispetto del ruolo del Parlamento.

I livelli essenziali delle prestazioni (LEP).

Richieste di Veneto, Lombardia ed E.Romagna.

Tante “repubbliche” delle Banane.

L’AD novità o figlia dell’egoismo territoriale?

Spesa Storica e riforma fiscale.

Non saranno i LEP a RILANCIARE il  SUD.

Le inquietanti conoscenze del Ministro Giorgetti.

Stralcio Report  su Autonomie Differenziata.

In Allegato:  Scrivo “AUTONOMIE  DIFFERENZIATE” leggo   “FINE DELLA SOLIDARIETÀ  E DELLA COESIONE SOCIALE”.

Elaborato del Dott. Aldo Ronci:

Segue in forma descrittiva tutto il contenuto dell’opuscolo-book.

Introduzione al tema : Autonomia Differenziata. Proviamo con la  Tabella, che segue, a tratteggiare una sintesi dei temi da affrontare.

La prima annotazione sulla proposta di Disegno di Legge del Ministro, sull’Autonomia Differenziata, è che in essa manca la soluzione da dare ai cosiddetti Livelli Essenziali di Prestazione (LEP). Proporre una fase di transizione è già motivo di allarme perché lascia emergere  una mancata consapevolezza, unitamente ad una ragionevole volontà correttiva, sui danni, nella distribuzione delle “risorse”, già compiuti a sfavore delle regioni del meridione. Su questo tema devono essere accese le “spie di allarme”, anche perché è sospetto che un Ministro come Calderoli, profondo conoscitore del tema “scippo” verso il Nord  “propone” di andare avanti in via transitoria. Lo stesso Ministro, è bene chiarire, è a conoscenza  che la materia “LEP” è incandescente  e non può, visti i precedenti, essere oggetto di rinvii, per esperienza scarsamente credibili. Se Parlamento, Governo,  Regioni ed Enti Locali non sono in possesso dei dati per giungere ad una definizione contestuale della materia è bene non iniziare. Un esempio del perché della “fatica” nel definire, ad esempio, i LEA in Sanità, si produce a causa di un evidente divario nella erogazione delle prestazioni tra le regioni. In concreto le regioni del Nord, sono restie e non intendono dare chiarimenti su come e su quante, con la erogazione delle prestazioni in Mobilità Passiva, risorse “drenano” a sfavore del Meridione. L’intento evidente è quello di “nascondere” il disegno di realizzazione di un Sistema Sanitario Regionale autonomo e competitivo. Divenire un  punto di attrazione del mercato dei “clienti” da tutto il paese, agendo come un privato, ed in partecipazione con il privato, al fine di gonfiare l’offerta di servizi sanitari di eccellenza , svuotando nel contempo le capacità dei sistemi sanitari meridionali.

Rispetto del ruolo del Parlamento.  Le prime annotazioni sul  disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata riguardano le implicazioni sulle  trasformazioni radicali degli assetti di potere in Italia, quindi temi cruciali, sui quali  il  Ministro Calderoli intanto fa circolare la  balzana ’idea che a definirli  può essere una semplice intesa tra stato e singola regione, travalicando il Parlamento, chiamato alla semplice “ratifica”. È troppo facile dire che, al contrario, il ruolo del Parlamento è centrale. Non è un buon inizio se con la presentazione della bozza di disegno di legge-quadro, il ministro Calderoli, riattiva la discussione sulle richieste di Autonomia Regionale Differenziata, tenendo conto solo delle proposte avanzate da alcune regioni e “glissando” sulla montagna di perplessità avanzate da quelle del Sud. Le richieste riguardano un complessivo riassetto delle responsabilità su tutte le principali politiche economiche e sociali, a partire dalla istruzione per giungere alla sanità. Di conseguenza la discussione deve sciogliere il nodo sul processo decisionale a partire dal ruolo che deve avere il Parlamento. Per memoria bisogna ricordare che sia nella ipotesi costruita nel 2019 dal governo Conte che nell’attuale disegno di legge Calderoli, il ruolo delle Camere è mortificato. Quindi un primo NO alla “furbizia” sul ruolo del Parlamento chiamato a svolgere un ruolo consultivo, per poi concludere con una eventuale approvazione a scatola chiusa. Il messaggio che si vuole fare passare è che si può  cambiare profondamente l’Italia senza che il potere legislativo abbia tempo e modo di valutarne portata e conseguenze. Naturalmente prima di provocare “imbarbarimenti”  nel dibattito politico è necessario dotarsi di un percorso più chiaro, ricordando che:

  1. a norma della Costituzione le regioni possono svolgere referendum a carattere “orientativo” e non risolutivo, visto che definire le competenze previste dall’articolo 116, sta al Parlamento, che considerando l’interesse nazionale, decide se e quali concedere;
  2. tutte le regioni a statuto ordinario possono potenzialmente cercare di ottenere tutte le competenze, ma queste vengono concesse sulla base di una intesa fra stato e singola regione. Bisogna annotare che qualsiasi decisione parlamentare di devoluzione di poteri è sostanzialmente irreversibile: cambiare l’intesa richiederebbe infatti il consenso regionale;
  3. la decisione non può essere oggetto di referendum;
  4. firmata l’intesa, tutti i fondamentali dettagli sul trasferimento di poteri, legislativi e amministrativi, materia per materia, verrebbero demandati a “commissioni paritetiche” stato-regione, fuori dal controllo parlamentare.

I livelli essenziali delle prestazioni (LEP). Dalla notte dei tempi la discussione si concentra  sui meccanismi di definizione e sulle modalità di raggiungimento dei “livelli essenziali delle prestazioni”, previsti sempre dalla Costituzione, all’art. 117.2.m e mai stabiliti. Lo stesso Calderoli che è l’autore del perverso meccanismo di Spesa Storica, cioè un regime transitorio ideato in attesa della approvazione e definizione dei LEP, che ha avuto il risultato di produrre “uno scippo” di risorse nei confronti del Sud a favore delle regioni del Nord, azzarda ancora l’ipotesi ovattandolo con un  “colpo di ingegno”. La novità sarebbe quella di ripercorrere, la strada “tranquilla” del dare un anno, con la tecnica che a suo tempo porto alla Spesa Storica, per la definizione dei LEP, in caso di insuccesso si avvia una Intesa Stato Regioni per  stabilire i finanziamenti sulla base della Spesa Storica. Per cambiare si indica la strada già percorsa, che dovrebbe produrre, almeno speriamo, una comprensibile preoccupazione dei rappresentanti dei territori del paese a minor reddito, già assoggettati  allo storico “scippo”, di trovarsi di fronte al rischio di un ulteriore ampliamento  dei già notevoli scarti, e comprovabili, esistenti. Il sospetto non è peregrino visto che bisogna annotare che acquisire quante più risorse finanziarie possibili è da sempre un obiettivo noto, da parte di rappresentanze territoriali del Nord. Ad esempio  si veda la deliberazione 155 del 15.11.2017 del Consiglio regionale del Veneto, con la quale si proponeva di trattenere nella regione i nove decimi del gettito fiscale. Ma ci sarebbe molto altro da aggiungere .

Richieste di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Se le metti insieme le richieste sono sterminate: Riguardano tutti i temi fondamentali delle politiche pubbliche del nostro paese. Nelle esigue differenze fra le posizioni delle regioni, nel concreto parliamo di:

a – scuola (norme generali sull’istruzione, regionalizzazione degli insegnanti e dei programmi, concorsi regionali, scuole paritarie, fondi integrativi;

b – università (regionalizzazione del sistema universitario);

c) ricerca (spaziale e aerospaziale, collaborazioni sovranazionali);

d) sanità (definizione del SSR, organizzazione offerta ospedaliera e servizi, ticket, distribuzione ed equivalenza dei farmaci, investimenti infrastrutturali, il tutto con fondi integrativi dedicati);

e) infrastrutture (acquisizione al demanio regionale di strade, autostrade, ferrovie e potere di veto sulla realizzazione di nuove infrastrutture);

f) assetto del territorio (suolo e potestà in materia edilizia);

g) ambiente (org. funzioni, ciclo dei rifiuti, potere di stabilire tariffe per il conferimento da altre regioni, bonifiche);                                                                                                                                                   h) acqua (acquisizione demanio idrico, org. servizio);

i) paesaggio (competenze estese, incluso il trasferimento delle attuali soprintendenze);

l) energia (competenze relative alla produzione, al trasporto e alla distribuzione dell’energia; autorizzazione ed esercizio di impianti di produzione, anche in deroga alla legislazione statale; disciplina stoccaggio di gas naturale, di incentivazione delle energie rinnovabili, di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi);

m) beni culturali (soprintendenze, tutela del patrimonio librario, tutela e valorizzazione, dei beni culturali del territorio; regionalizzazione dei musei, rimodulazione dei fondi per lo spettacolo e per cinema e audiovisivo);

n) lavoro (in particolare per l’integrazione fra politiche attive e passive, anche tramite ammortizzatori sociali specifici e contratti regionali di solidarietà espansiva);

o) previdenza complementare (previdenza complementare e integrativa regionale, anche acquisendo il gettito dell’imposta sostitutiva sui rendimenti dei fondi pensione);

p) attività produttive (commercio con l’estero, agricoltura e prodotti biologici, camere di commercio, la disciplina di incentivi, contributi, agevolazioni, sovvenzioni alle imprese, e di crediti di imposta; potestà di istituire nuove zone franche e di ampliare quelle esistenti e di istituire sistemi di fiscalità di vantaggio e di zone economiche speciali in montagna):

q) immigrazione (controllo dei flussi sul territorio);

r) coordinamento della finanza locale.

Tante “repubbliche” delle Banane. Dal lungo elenco emerge la quantità, senza chiare motivazioni, dei poteri dello Stato da spostare alle  regioni , senza risolvere l’arcano sul perché. Secondo il Ministro  in questo modo le cose dovrebbero migliorare per i cittadini, ma soprattutto perché la gestione delle nuove regioni che li renderebbe stati sovrani, sarebbe molto più efficiente. Le gestione regionali del Covid ? Solo una cattivo esempio. L’uso, da parte delle regioni, delle risorse per “innovare” gli spazi dei trasporti in fase Covid? Non è reato averli usati per tappare i “debiti” preesistenti . E via discorrendo, l’importante è segnare la direzione di marcia con l’esistenza di un forte  orientamento, dei diversi Presidente di Giunta, ad aggiungere al proprio titolo quella di Governatori, magari senza aggiungere delle Banane.

L’AD novità o figlia dell’egoismo territoriale ? Una domanda che merita una risposta. Perché per dotarci di “giudizi sereni” ed aiutare amministratori e politici, dobbiamo fornirci  di una robusta memoria storica che dona la corretta conoscenza di fatti, ma anche la possibilità di avere a disposizione una memoria collettiva. Intanto una aggiornamento, per analizzare il livello del confronto politico, oggi in atto sulla proposta di autonomia differenziata, del ministro Calderoli,  dovrebbe partire, visto che il governo è presieduto da quella Giorgia Meloni che nel 2014, pensava l’esatto contrario e si dichiarava in un video:  G. MELONI: REGIONALISMO FALLITO, ABOLIAMO LE REGIONI,

Si potrebbe dire che molta acqua è  passata sotto i ponti, però prima il Presidente dovrebbe chiarire dove la “moderna”  proposta di legge di Calderoli, non è la riproposizione di un vecchio progetto di rottura di una nazione “unità da ugual destino”. Una “ideologia” che affonda il suo radicamento nel “nostalgico” ricordo, della efficacia dei comportamenti, e dalle scelte di politica economica. Poteri forti che con scelte economiche “forti” impoverirono, a partire dalla Unificazione dell’Italia, l’intero meridione. Ed è così, nel tempo, che sono state imposte, e mutilate, le possibilità di sviluppo armonico dell’intero paese. Non è chiaro il costrutto scientifico, ma cancellando studi e dotte citazioni di giudizi, degli storici ed economisti, meridionalisti o meno, ancora oggi, a prescindere dai risultati “deleteri” che già viviamo , si ripercorre la strada della reintroduzione della teoria che basta fare ripartire “l’area forte”  per spargere, poi, i benefici per l’intero paese. La storia economica del nostro paese, ha già ampiamente dimostrato che questa teoria, basata sugli egoismi territoriali, non porta da nessuna parte, anzi ha provocato danni anche da quanto ha ripreso “lena” contro l’azione di un governo nazionale che con i finanziamenti e gli strumenti , quali la Casmez, spingeva un processo di industrializzazione ed infrastrutturazione “modernizzante” dell’intero meridione. Con un grafico realizzato grazie ai dati ISTAT  possiamo dare uno sguardo a quanto avvenuto, sulla base degli avvenimenti storici. Infatti se fu il 27 Marzo 1861 che la Camera  proclamò Roma capitale d’Italia, di fatto, lo divenne però solo dieci anni dopo, quando i Savoia vi si trasferirono. Ma cosa accade dall’anno 1871 in poi ? . Come anticipato il grafico rende plastica la situazione creatasi- La nostra Regione che dalla povertà entra nella” miseria più nera”, trascinata o trascinando con se stessa,  l’intero sud e le Isole. Naturalmente il contrario si sviluppa per il resto del paese, dimostrando che le politiche del “governo del Re” , non facevano crescere tutti, ma solo una parte consistente della economia della imprenditoria forte. Tutto avveniva con politiche fiscali e doganali, di portata negativa per le residue possibilità della “già minorata” imprenditoria e produttori abruzzesi. La storia ci dirà che l’unico export che ha funzionato è stato quello della emigrazione, con le rimesse dei nostri migranti sparsi in Europa e Americhe varie. Di fronte a questi risultati ci volle la lungimiranza di molti studiosi e politici, a partire dal grumo culturale dei fondatori di SVIMEZ, ma anche a quella di  chi sin dall’anno 1950 istituì con legge nº 646 la Cassa per il Mezzogiorno. La  Casmez, un ente pubblico italiano creato dal Governo De Gasperi VI, per finanziare iniziative industriali tese allo sviluppo economico del meridione d’Italia, allo scopo di colmare il divario con l’Italia settentrionale.  La Cassa viene soppressa e posta in liquidazione dal 1º agosto 1984. La storia, ma oserei dire la “cronaca” di oggi , ci può fare comprendere come questo lungo “calvario”  che porta alla soppressione della Casmez sia stato accompagnato dai progetti di ripristino delle soddisfazioni degli “egoisti” nella riappropriazione di risorse comprese quelle che non gli spettavano. Ancora oggi assistiamo alle ringhianti dichiarazioni strumentali che rivendicano una superiorità dal vago sapore “razziale” sui valori del sud e sulla qualità della sua classe politica . Bisogna aggiungere che non è solo un  vezzo della politica, che non meriterebbe nemmeno “l’onore” di un confronto tra opinioni, ma si è aggiunta una fioritura di imprenditori dediti all’acquisto di giornali per dare spazio ad una nuova ed aggressiva “razza” di giornalisti dediti alle pratiche di costante denigrazione dell’avversario che diviene oggetto di “stomachevoli” distorsioni per fini di becera propaganda politica, ma anche di tutela di interessi patrimoniali enormi, accumulati anche grazie ad un “Far West”, contro chi si permette di contrastare comportamenti di dubbia legittimità. In premessa, quindi bisogna chiedersi se è giusto proseguire una discussione su temi come la Autonomia Differenziata, guardando solo al suo incerto futuro, dimenticando i danni già fatti, in suo nome, alle persone ed al sistema di relazione istituzionale del paese, come se fosse un argomento semi ideologico. Il 1984, anno dello scioglimento della Cassa del Mezzogiorno, sostituito da legislazioni inefficaci, visto lo stato attuale del Meridione. Eppure, il cammino italiano verso il “miracolo economico” del dopoguerra fu accompagnato dalla Cassa del Mezzogiorno, attraverso il passaggio da un sistema industriale tradizionale ad uno caratterizzato dal cosiddetto “consumismo di massa”.  Con efficacia un meridionalista come Amedeo Lepore scrive :” è stato il motore di quest’epoca di sviluppo del Paese, grazie anche all’operato di una tecnostruttura come quella della Cassa, che è riuscita ad attuare coerentemente, perlomeno in una lunga prima fase, una politica industriale originata da un felice connubio tra indirizzi interni e strategie economiche internazionali, culminata in una sorta di ‘keynesismo dell’offerta’ . Nonostante  queste considerazioni, le cose non sono migliorate, anche perché già all’inizio degli anni Settanta, un diverso quadro macroeconomico internazionale offrì il terreno per il ripiegamento, delle politiche nazionali, sull’assistenza al Mezzogiorno per offrire le motivazioni per lo svuotamento del ruolo della Cassa ed aprirne la invocata procedura di chiusura. Eliminare lo strumento Cassa, ha significato anche la scomparsa della motivazione della sua esistenza e, parallelamente, uno strumento capace di garantire l’uso delle risorse straordinarie a disposizione. È nota la circostanza, annotata da Svimez, che alcune regioni riuscivano a spendere tutti i finanziamenti straordinari, mentre faticavano nell’uso delle risorse “ordinarie”. Il punto era che mancava, per lo più un sistema burocratico reso operativo e all’altezza nel garantire le funzioni necessarie. Ed  ecco che viene offerta la portata giusta, prelevando le motivazioni nell’ordinamento statale repubblicano italiano, per avviare forme di potestà legislativa, le stesse originariamente limitate alle Regioni a statuto speciale, che dal 2001 sono trasferibili anche alle Regioni a statuto ordinario sulle competenze che, secondo l’articolo 117 della Costituzione, appartengono alla legislazione concorrente con lo Stato. Quasi in “contemporanea” alcune Regioni in particolare Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, chiedono anche la previsione di forme di autonomia differenziata per le Regioni a Statuto ordinario e una organizzazione amministrativa basata sul principio di sussidiarietà, demandando al legislatore statale o regionale, secondo le attribuzioni, la individuazione dell’amministrazione di volta in volta competente. Non deve essere sottaciuto che già nel 2000 due consiglieri regionali piemontesi, chiedono il rientro del finanziamento della Tav nella partita della discussione dei residui fiscali, quasi 10 miliardi l’anno che il Piemonte versa più di quanto riceve dallo Stato, chieda al Governo un’adeguata cifra pluriennale che utilizzeremo per cofinanziare l’opera”. Segnali allarmanti che crearono sconcerto anche nel Governo Conte giallo verde. Fino a portare il “sostenitore” Salvini, a giorni alterni, su un terreno di cautela dichiarando addirittura il suo “No alla secessione dei ricchi”.  E tutto si fermò fino a questi giorni, fin quando il Ministro Calderoli ha fatto  approvare  in Consiglio dei ministri il ddl sull’AD e dichiara “Una riforma necessaria per rinnovare e modernizzare l’Italia, nel segno dell’efficienza, dello sviluppo e della responsabilità”.  Approvazione con applausi. L’ambigua Presidente Meloni recita “Efficienza, merito, innovazione, lavoro, più diritti per tutti i cittadini in tutta Italia, meno scuse per i politici ladri o incapaci. Autonomia approvata in Consiglio dei Ministri, altra promessa mantenuta”. Testo che il vicepremier  Matteo Salvini invia nelle chat dei parlamentari e dei consiglieri regionali della Lega rilanciando la sua Lega Nord.Spesa Storica e riforma fiscale. Danno anche per l’Abruzzo. Una valutazione. Calderoli  nominato Ministro è un riconoscimento che la sua parte politica doveva dargli in maniera doverosa. Sarebbe stato difficile trovarne uno più “scaltro”  e più rassicurante per ii Governatori del Nord e, magari non solo per loro. Una fonte di garanzia per un percorso certo per l’AD  visto che già è stato l’autore di un capolavoro politico come la Spesa Storica, pensata e proposta da lui, come norma transitoria, in fase di Federalismo Fiscale,  divenuto, nei fatti,  lo strumento perenne di realizzazione della attuale Italia a due motori. Ora visto che ha già portato sotto braccio il suo pacchetto strenna sull’AD al Consiglio dei Ministri, conoscendone le tendenze a realizzare strumenti “specificatamente” utili al Nord per “lucrare”, anche gli abruzzesi, prodighi di consensi alla Lega, devono chiedersi da che parte del paese stare. Domanda per molti. Dove sta il posto dell’Abruzzo nelle due Italie ? Per ora fra gli “scippati”, e quindi  vista chiarezza del meccanismo per spedire “risorse” al Nord si potrebbe valutare la concretezza di una richiesta di “compensazione” accompagnata al diniego del proseguimento dele cose avvenute in questi ultimi venti anni. Anni che hanno trasformata la nostra regione da “Locomotiva del Sud” ad ultima delle carrozze della economia meridionale. Ma c’è una domanda facile che richiede risposta immediata. Ma se l’AD,   è stato lo specchietto delle allodole, per nascondere la operatività negative per la nostra regione,  qualcuno può pensare che oggi possa essere lo strumento per tornare a sostenere il suo contesto socio economico e produttivo?. Se la storia è “maestra” bisognerebbe chiedere a storici ed  analisti economici più attenti di  illustrare quanto avvenuto tra  gli applausi dei gruppi dirigenti, ed imprenditoriali,  del Nord  in una precedente  fase della storia economica della nostra regione. Nel momento dell’intervento straordinario tanti “prenditori”  non avendo a disposizione quelle risorse straordinarie sul proprio territorio, si trasferivano per “intraprendere” da noi. Non duro a lungo, visto che cessati gli incentivi, si aprono processi di “delocalizzazione” verso il nord, che nel frattempo si era attrezzata per l’utilizzo delle risorse ordinarie che al sud, e da noi, non si spendevano. Infatti, mentre infuriava il dibattito sull’uscita dell’Abruzzo dalla geografia degli interventi straordinari, molti  già si chiedevano se questa regione sarebbe stata capace di organizzarsi, di riformare la propria struttura istituzione e burocratica per entrare nella nuova fase caratterizzata dall’uso della spesa “ordinaria”. Le tante analisi sullo sviluppo abruzzese, sulle sue capacità produttive e del suo andamento del PIL, comprese quelle ufficiali di SVIMEZ, già raccontavano di un Abruzzo entrato in “ambascia”, da Locomotiva del Sud a vagone di coda. Il punto è che non solo il nostro tessuto socioeconomico stava assaggiando i frutti dell’uscita dall’Obiettivo 1, ma in maniera ravvicinata entrava nell’epoca del Federalismo. Quel Federalismo inventato per liberare le regioni del sud da una politica rapace ed incapace, per adeguarla alle capacità di governo dei gruppi dirigenti e delle burocrazie del nord, quindi uno stimolo a “migliorare” ad alimentare la spinta al “buon governo” da parte di quelli del Sud, che si è trasformato, carte e numeri alla mano” in uno “scippo” di risorse. Diversi ricercatori ed Istituti di ricerca assegnano, al meccanismo della Spesa Storica lo spostamento medio di ca. 64,5 miliardi. Cioè le risorse  che ogni anno le Regioni del Nord sottraggono indebitamente alle Regioni del Sud. Uno spostamento facile da calcolare visto che  al 34,2% della popolazione meridionale va il 28% della spesa pubblica allargata, una differenza pari al 6,2%. I settori colpiti sono la sanità, la scuola, la mobilità, il traffico ferroviario e  la rete della fibra. Non desti più sospetti, in attesa dell’AD,  la circostanza che la Lega, sostenitrice “feroce”, non solo della riforma pensionistica fino all’odio ad personam, nei confronti della ex Ministro Fornero, ma anche delle quote pensionistiche a partire da quota 100. Ovviamente un ulteriore spostamento di miliardi della redistribuzione della spesa previdenziale che, grazie al ricorso alla fiscalità generale finanzia le pensioni di anzianità, soprattutto del  Nord,  sottraendo risorse pubbliche alla formazione ed istruzione utile alla crescita del capitale umano dei giovani di talento del Sud. Sono giochetti permanenti che spostano risorse accrescendo  il divario della distribuzione della ricchezza e del reddito medio pro-capite tra i residenti del Nord centro e Meridione mettendo in gioco i diritti di cittadinanza violati della spesa sociale, sanitaria  e della spesa infrastrutturale. Ma a questo punto diventa doveroso un accenno al valore storico della azione condotta grazie, alla legge Calderoli, sul federalismo fiscale del 2009. La sola norma transitoria, in attesa di un’altra, quella sui LEP Livelli Essenziali di Prestazione, mai arrivata. Un percorso che nella transitorietà ha  provocato danni “incalcolabili” al Meridione. Una normativa quella dei LEP indicata per rendere  tutti i cittadini eguali, con normative obbligatorie,  per varare i fondi di perequazione sociale e infrastrutturale, viene lasciata in regime transitorio “perenne”. Accade perché  il meccanismo è del tutto vantaggioso per le regioni forti. Oggi si ripete la proposta di una fase di transizione, breve, per la definizione dei LEP, caso contrario l’utilizzazione della spesa storica concordata.  La stessa idea “scaltra” da ripetere per eccesso di avidità visto che già in precedenza, la transizione ha “illecitamente” arricchito il Nord a scapito delle altre regioni, in particolare noi e l’intero Meridione. Una transizione che doveva concludersi, in un battere d’occhio , è  durata  più di  13 anni provocando diseguaglianze territoriali e tra le persone. Magari utile  a spegnere gli ardori “indipendentisti” di Zaia e di Salvini, ma anche fornita dal silenzio assenso di altre interessate forze politiche. Di tutte, comprese le attuali al governo,  che si sono alternate alla guida del paese. Una piccola chiosa sulle diseguaglianze ci racconta che  il reddito pro capite dei cittadini del Mezzogiorno si è ridotto a poco più della metà del reddito pro capite degli altri due terzi della popolazione. In Abruzzo siamo arrivati  ad un  REDDITO DISPONIBILE PRO CAPITE (elaborazione Prometeia)  nell’anno 2020 di euro 16.952 pari a meno 2.463, rispetto alla media italiana. È, tutto questo, il frutto della scelta “prenditrice” delle regioni del Nord nei confronti del meridione, condannato al sottosviluppo. Una cecità assoluta, come dicono tanti economisti, lesiva anche per il Nord visto che essi si privano del  suo principale mercato di consumi interno. Tutto a scapito di una dimensione nazionale produttiva indispensabile per rimanere nel novero delle grandi economie industrializzate. Innegabilmente è  questo il primo problema della mancata crescita, negli ultimi decenni, angosciata dalla stasi e decrescita  PIL e, quindi,  il problema della debolezza competitiva italiana. Per questi motivi non abbiamo  l’interesse ad abboccare alla “provocazione” di Calderola, perché nessuno è interessato a rilanciare “ostilità” territoriali, riproporre oggi una inutile guerra tra Nord e Sud del Paese, ma è necessario che  nell’interesse comune che chi ha la responsabilità di governo ponga al centro del Next Generation europeo un piano di investimenti infrastrutturali immateriali e materiali collocati nel Mezzogiorno per un importo pari ai due terzi delle erogazioni a fondo perduto previste dal Piano Nazionale Ripresa e resilienza (65,4 miliardi, di cui i due terzi sono 43,2 miliardi).  Queste erogazioni del Next generation sono state date all’Italia in misura così generosa proprio per invertire i  tassi di disoccupazione e di inversione del Pil nelle sue regioni meridionali. Allo scopo dichiarato di perseguire la coesione territoriale e conseguire il riequilibrio tra le due aree del Paese. Servono progetti di elevata capacità progettuale e strutture tecniche di elevata capacità esecutiva. Questo vale anche per il gigantesco piano di Industria/Impresa 4.0 che è ciò che serve subito al Nord produttivo e che noi auspichiamo. A patto ovviamente che finanzi l’innovazione e le piccole imprese che accettano di fondersi, non l’acquisto dei carrelli e dei montacarichi. Perché la sfida da vincere al Nord come al Sud è quella della produttività. Senza la quale non si tutelano e, ancora meno, si creano occupazioni stabili e durature. Non si tratta tanto per il Mezzogiorno di risarcire il danno subito, che c’è stato ed è frutto di un egoismo miope, ma si tratta piuttosto di affrontare con serietà il tema irrisolto della mancata crescita italiana. Non è un caso che gli unici due territori europei a non avere raggiunto i livelli pre-crisi prima del Covid siano il Nord e il Sud dell’Italia. Bisogna recuperare oggi i contenuti della “Questione Meridionale”  coniugando lo sviluppo delle infrastrutture, affiancandolo all’investimento sullo sviluppo un patto produttivo che invogli le imprese del Nord, a delocalizzare nel Sud, per cogliere l’occasione delle ZES e la opportunità della fiscalità di vantaggio. Un ambiente rinnovato e Mediterraneo fatto di trasporti veloci, ma anche di grande logistica e portualità integrate. Un’Italia alla riconquista della leadership europea e che fa del  Mediterraneo il suo punto di forza non ha bisogno di giocare allo sviluppo di una parte a discapito dell’altra.  Tanto meno una Autonomia Differenziata, come è stata concepita da Calderola e compagni può dare all’Italia il suo ruolo geopolitico, come grande nazione, in una scala globale all’altezza della sua storia e della sua forza attuale che è quella dell’unica grande area mondiale di stabilità.

Non saranno i LEP a RILANCIARE il  SUD. Gli operatori e i burocrati delle Istituzioni regionali sanno come il  Mezzogiorno sia stato storicamente sfavorito nella suddivisione dei finanziamenti statali. Era una discussione già  forte durante la fuori uscita dell’Abruzzo dall’intervento straordinario, perché tutti sapevamo, con SVIMEZ che ce lo ricordava, che sia i fondi statali ordinari che europei non riescono ad essere spesi. Le regioni meridionali, però l’Abruzzo, un po’ meglio delle altre regioni del contesto Meridionale, hanno fondi, ma non li spendono  perché non hanno la “cultura” e la organizzazione adeguata Fu nel 2001, che il governo di Centro Sinistra, anche dietro la spinta “interessata” della iniziativa politica della Lega, mise in piedi la riforma del titolo V della Costituzione. Lo scopo era quello di dare maggiore autonomia alle regioni e agli altri livelli di amministrazione locale, con a latere la introduzione di nuove misure per ridurre la disparità tra i comuni in tema di servizi.Utile ricordare che l’articolo 117 stabiliva la definizione da parte dello stato dei livelli essenziali di prestazione (LEP) in modo da uniformarli su tutto il territorio nazionale, mentre l’articolo 119 della riforma prevedeva che lo stato mettesse a disposizione un fondo perequativo, da distribuire ai comuni comprese le risorse per aiutare i territori più svantaggiati, cioè quelli che non riuscivano ad adeguarsi ai livelli di prestazione definiti dai LEP. Ad oltre 20 anni dalla riforma, lo Stato non ha ancora individuato i LEP, ma in fase transitoria ha utilizzato un iniquo metodo di redistribuzione del fondo perequativo.  Argomento noto al Ministro Giorgetti già nella sua qualità di Presidente della Commissione parlamentare che evitò di occuparsene quanto scopri il meccanismo che “scippava” risorse al Sud per inviarle al Nord. Ma di questo ci occuperemo in un  Capitolo successivo. Senza addentrarci nella descrizione dei criteri dei fabbisogni standard ed indicatori che stimano per ogni ente locale, il fabbisogno finanziario necessario per svolgere le proprie funzioni fondamentali e sono definiti in base alla spesa media storica per i servizi di comuni tra loro simili per caratteristiche demografiche, socio-economiche e morfologiche.  La capacità fiscale, invece, è la stima delle risorse che un ente locale ricava dalle sole entrate tributarie del proprio territorio: se la differenza è positiva, cioè l’ente considerato non riesce con le proprie risorse a soddisfare il fabbisogno di servizi del proprio territorio, allora riceverà risorse dal fondo. La maggior parte dei comuni italiani riceve risorse, indipendentemente dall’essere al Nord, Centro, Sud o isole.  Facendo mente locale nell’anno  2016 la differenza tra il fabbisogno totale e la capacità fiscale di tutti i comuni italiani è stata di circa 8 mld di euro (fonte openpolis.it)).  Si è così costruito un criterio basato sulla cosiddetta spesa storica dei Comuni, cioè attribuendo più soldi a quelle realtà con maggiori servizi presenti sul territorio (Nord) ed inferiori a quelle con meno servizi (Sud) con casi eclatanti di disparità.  La Svimez ha riportato il, sotto stante. grafico della ripartizione per macroaree della spesa effettuata dallo Stato italiano.Che evidenzia come il Sud “con una popolazione pari al 34,3% di quella nazionale, riceve il 28,3% della spesa pubblica complessiva, mentre il Centro-Nord con il 65,7% della popolazione italiana percepisce il 71,7% del totale di denaro pubblico”.  In concreto  al Sud viene tolto ogni anno il 6% di quello che le spetterebbe sulla base del solo criterio della numerosità abitativa, senza nessun riferimento alla ovvia necessità, per la crescita del sistema economico del paese, che a questa dovrebbe poi aggiungersi una robusta iniziativa di investimento, per dare slancio allo sviluppo meridionale. Nessuno pensi che siano briciole parliamo di un 6%  che  equivale a ca.  61,5 miliardi di euro che ogni anno, meglio ribadirlo, hanno presa la direzione Centro Nord e a questi vanno poi aggiunti almeno altri 45 miliardi che il Sud riconosce al Nord a fronte dei prodotti e servizi vendutigli. Nello specifico è Eurispes, l’Istituto di Studi Politici, Economici e Sociali degli italiani, che da a anni insiste in maniera esplicita sull’esistenza, da decenni, di “politiche predatorie dello Stato, a svantaggio del Sud”. Questi argomenti appartengono a calcoli contenuti nel Rapporto e stimate in 840 miliardi di euro sottratti al Sud a partire dal 2000 e fino al 2017. Ma se questi sono i fatti e se la politica non apre un confronto serio sull’accaduto ecco che rifioriscono gli antichi linguaggi, che la stampa di destra del nostro paese accarezza e spiega.  Dicono e scrivono che il nostro paese,  per tornare a crescere bisogna investire nei settori e nelle aree geografiche che sono all’avanguardia. Come se tutto questo non fosse già avvenuto e, come se quelle politiche già sperimentate per avvicinare l’Italia all’Europa non fossero già  quelle che aumentano la distanza tra Milano e Napoli, tra aree avanzate e arretrate del Paese. L’avere mandato il Sud nel baratro non è sufficiente, visto che il Nord per avanzare ha ancora bisogno di altro, cioè andare oltre il  modo di agire che lo Stato ha già messo in atto praticamente da sempre. Quindi di fronte al fallimento palese della scelta politica che voleva una locomotiva del Nord trascinatrice del Sud”, oggi il governo della Meloni, a trazione leghista insiste. Nessuna riflessione sul fatto che ormai dal 2000 anche il Nord cresce con lo 0 virgola. Ma tutto questo accade senza tenere conto nemmeno della “predica”  del Presidente Gian Maria Fara di Eurispes che, introducendo il Rapporto 2020,  afferma esplicitamente che  “… il Prodotto interno lordo del Nord Italia dipende molto poco dalle esportazioni all’estero e per grossissima parte invece dalla vendita dei prodotti al Sud … ogni ulteriore impoverimento/indebolimento del Sud si ripercuote sull’economia del Nord, il quale vendendo di meno al Sud, guadagna di meno, fa arretrare la propria produzione, danneggiando e mandando in crisi così la sua stessa economia”.  Eppure la neo entusiasta, ex sovranista, Presidente Giorgia Meloni dovrebbe ascoltare  la UE, soprattutto la leader Germania, che predicano la ripartenza dell’Italia, per poter a sua volta consolidare la propria ripresa economica. I nostri dovrebbero chiedersi perché la UE richiama sempre la necessità che al Sud si destini la parte cospicua dei soldi del Recovery Plan, circa il 70% e capirne il valore economico. Ma dicono, ripetendo l’antico motivetto leghista, gli informatissimi giornalisti, al Sud  ci sono  ruberie. Ma tralasciando che da questo punto di vista il Nord abbia poco da insegnare a riguardo, poiché gli scandali economicamente più sostanziosi si sono verificati proprio in Veneto e Lombardia dove d’altra parte circolano più soldi (Mose e Expo insegnano e l’elenco sarebbe molto lungo). Vera è invece la scarsa capacità che le regioni meridionali hanno nell’attrarre e nello spendere le risorse dei fondi europei, rispetto a quelle del Nord. Si ripetono frequentemente le analisi che confermano una generalizzata “apatia” del Sud sia nella formulazione dei progetti da finanziare che nella gestione degli stessi, anche se vengono evidenziati segnali di miglioramento. Il tema è antico perché esiste una qualità del lavoro svolto dai funzionari e dagli “amministrativi” che lavorano negli enti del Sud che è certo da migliorare ed occorre mettere in campo meccanismi di controllo adeguati per monitorare la realizzazione dei progetti finanziati.

Le inquietanti  conoscenze di Giorgetti. Leghista, bene informato a conoscenza dei fatti concreti. Un Ministro che ha il dovere di informare il  suo Presidente sulla entità del problema, a partire da quanto sosteneva la necessità dello scioglimento delle Regioni. Esisteva una legge mai rispettata, ma tutti hanno “dimenticato” di dare al Sud i soldi dovuti in base al “fondo perequativo”. È facile affermare che se fosse stata applicata la norma, ai Comuni del SUD,  sarebbero arrivati decine e decine di milioni in più, anche centinaia. I trasferimenti dallo Stato centrale ai Comuni, previsti dal federalismo fiscale non sono stati pienamente attuati e non funzionano come dovrebbero. Se la distribuzione di finanziamenti e risorse funzionasse come previsto dalla Costituzione e dalla stessa legge sul Federalismo Fiscale (legge 42/2009 detta “Legge Calderoli”) le cose andrebbero diversamente. Ad esempio la legge prevedeva di istituire il fondo perequativo: un fondo di solidarietà dei comuni (che nel 2015 ammontava a 747 milioni di euro) ideato per coprire integralmente la differenza tra la capacità fiscale di ogni comune (sostanzialmente i proventi di IMU e TASI) e il fabbisogno per i servizi ai cittadini. Ma i “territori forti”  hanno chiesto e ottenuto uno sconto, per cui oggi il meccanismo «si applica per il 22,5%”, per il resto lo Stato versa ai comuni le risorse sulla base della spesa storica. Eppure in un’audizione (anno 2015)  alla Commissione bicamerale federalismo presieduta all’epoca dall’onorevole Giancarlo Giorgetti la Direttrice generale del Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze Fabrizia Lapecorella spiegò che il criterio della ripartizione delle risorse basato sulla spesa storica “è una misura inadeguata della capacità fiscale” .Il motivo è che il differenziale tra l’ammontare di gettito raccolto dai governi regionali locali e la capacità fiscale è collegato al diverso grado di compliance dei contribuenti, a parità di sforzo impositivo.  Non bisogna essere dei fenomeni, per capire che il criterio della ripartizione basato sulle risorse storiche, cioè quello che è stato utilizzato per l’80 per cento della ripartizione del fondo, anzitutto ha questo primo problema, ossia di scontare la differenza di compliance nei diversi comuni». Esiste un punto storico: nella bicamerale Giorgetti chiese una simulazione sul fondo perequativo per i comuni, ma poi non ci bada. Ma perché gli altri deputati componenti della commissione si “zittirono”, la stampa occulta da anni la verità”,  le regioni del Meridione  non chiedono il conguaglio? Domande che non ricevono risposta, eppure il tema era semplice. Chiedendosi cosa succederebbe «se venisse applicata non il 20 per cento, ma il 100 per cento della perequazione». Ma quale sarebbe stato l’effetto di una perequazione piena, non ha trovato risposta in quella bicamerale. Quei dati, che la dottoressa Lapecorella,  aveva promesso di trasmettere alla Camera, non sono mai stati resi pubblici e non sono stati messi agli atti della seduta della Commissione. Sull’AD bisogna ripartire da quel punto, perché il quadro della situazione reale, sulla sperequazione determinatisi era chiaro a tutti, ma nessuno era disponibile a “denunciare” la situazione per ritornare al rispetto degli impegni assunti, anche per un riequilibrio a favore del Mezzogiorno, attraverso la previsione del Fondo di Perequazione.

Ma chi ci perde con il federalismo ? (Il Mattino, 4 novembre 2019) I problemi guarda caso sono iniziati a partire dal 2014-2015, ovvero con la fine del regime transitorio di cinque anni stabilito dalla legge 42 del 2009. I cittadini dei comuni del Sud sono quelli che risultano essere maggiormente penalizzati dal sistema di ripartizione dei finanziamenti attualmente in vigore. Inoltre, spiegava Lapecorella: «ciascun comune che ha una capacità fiscale inferiore ai fabbisogni standard non riceve il 100 per cento di questa differenza, ma soltanto il 45,8 per cento». In pratica i Comuni raccolgono meno soldi di quanto sarebbe necessario per coprire i fabbisogni, ma lo Stato non ridistribuisce tutto quello che manca per arrivare a coprire il 100% del fabbisogno. Questo significa meno risorse per i cittadini, ed è evidente che il fondo di solidarietà così come è attuato non è in grado i colmare il gap (che è complessivamente di circa 8 miliardi). Eppure la Legge prevedeva che la perequazione coprisse la differenza tra il fabbisogno standard e il gettito dei tributi ad essi dedicati. Come è potuto succedere che nel passaggio dalla fase transitoria a quella a regime del Federalismo Fiscale sia stato deciso sostanzialmente di lasciare indietro molti comuni del Sud e  di non finanziare il Fondo in maniera da garantire la ripartizione delle risorse a livello territoriale.

Stralcio Report . Le tabelle si riferiscono all’Anno 2017. La chiave di lettura è la seguente: La distribuzione di finanziamenti e risorse è stato regolato dalla “Legge Calderoli” n°  42/2009). Normativa mai applicata, per dare luogo alla Spesa Storica . Un meccanismo che ha prodotto per decenni uno “scippo” di risorse dal Mezzo giorno verso il Nord.

Report Ronci: Tabella di sintesi sul trasferimento di risorse in sanità –  Anno 2017

Differenze presunte tra spesa media e spesa storica sanitaria – Anno 2017
Finanziamento

Spesa sanitaria migliaia di €

Spesa pro capite Euro Differenza su pro capite nazionale Euro Differenza su spesa storica migliaia di €
Lazio 7.301.159 1.238 140 824.680
Lombardia 12.726.255 1.269 109 1.090.590
Veneto 6.241.665 1.272 106 518.536
Emilia Rom. 5.909.979 1.328 50 222.538
Piemonte 6.097.061 1.391 -13 -56.227
Marche 2.137.608 1.393 -15 -22.716
Toscana 5.259.135 1.406 -28 -106.326
Campania 8.469.520 1.452 -74 -432.465
Liguria 2.286.200 1.464 -87 -135.153
Puglia 6.317.882 1.558 -180 -729.167
Umbria 1.386.218 1.563 -185 -164.362
Abruzzo 2.069.037 1.569 -191 -252.015
Calabria 3.131.270 1.597 -219 -429.402
Basilicata 912.874 1.605 -227 -129.224
Molise 625.697 2.022 -644 -199.287
Nazionale 70.871.560 1.378

L’Abruzzo subisce una decurtazione di 252 milioni di euro.

Tabella di sintesi sul trasferimento di risorse per istruzione –  Anno 2017

Differenze presunte tra spesa media e spesa storica per istruzione – Anno 2017
Regioni Spesa per istruzione migliaia di € Spesa pro capite Euro Differenza su pro capite nazionale Euro Differenza su spesa storica migliaia di €
Lombardia 5.632.352 562 103 1.029.528
Liguria 903.212 579 86 133.929
Veneto 2.913.692 594 70 345.782
Piemonte 2.702.877 617 48 209.750
Emilia Rom. 2.850.916 641 24 105.916
Lazio 4.015.135 681 -16 -97.210
Toscana 2.584.306 691 -27 -99.846
Puglia 2.850.544 703 -38 -155.910
Marche 1.094.676 713 -49 -74.967
Umbria 663.286 748 -84 -74.160
Molise 238.366 770 -106 -32.770
Basilicata 438.298 771 -106 -60.456
Abruzzo 1.018.596 772 -108 -142.507
Campania 4.664.501 800 -135 -789.384
Calabria 1.600.419 816 -152 -297.696
Nazionale 34.171.176 664

Nella Istruzione l’Abruzzo subisce una decurtazione di  142 milioni di euro.  In conclusione le variazioni totali (sanitaria e istruzione) sono positive per Lombardia, Veneto, l’Emilia-Roma e Lazio, negative per tutte le altre Regioni del Centro e del Mezzogiorno.

L’Abruzzo cumula una decurtazione di ben 394 milioni di euro.